Gli Scar Symmetry provengono dalla Svezia, e con questo “Dark Matter Dimensions” giungono al quarto album su Nuclear Blast. Alcune riflessioni a caldo sono sicuramente il fatto che:
1) Nuclear Blast investe sempre più sul mercato europeo (Italia esclusa?!?), portando a casa risultati alcune volte convincenti (e altre meno) e contribuendo così a solidificare il proprio bacino di utenti. Nel contempo, il mercato europeo ha finalmente una valvola di sfogo adatta e che dia del filo da torcere alla concorrente Roadrunner Records (che, per quanto sia olandese, non accenna a fermare il proprio interesse transoceanico).
2) Per quanto ci si sforzi, se un genere nasce sotto una precisa influenza (in questo caso, la miscela fra melodici e cantato in growling di fattura piuttosto grezza), è estremamente difficile che la situazione si modifichi. E se lo fa, spesso, si rischia la deriva.
Il quarto disco degli Scar Symmetry è sicuramente un buon prodotto, che eccelle nelle composizioni e vede la presenza di alcuni solos (come la opener “The Iconoclast”, o Noumenon and Phenomenon”) di qualità superlativa. Gli stacchi sono potenti e ben calibrati, e proprio quando può sembrare che tutto proceda in maniera piuttosto lineare una nuova forma-canzone si fa strada e si ritorna a scuotere la testa (o, a seconda dei casi, a battere il ritmo). Dopo un paio di tracce d’atmosfera che fanno capire all’ascoltatore le condizioni generali dell’affare, infatti, si fanno strada tutta una serie di influenze che non è tipico riuscire a scovare nella media dei dischi concorrenziali a questo. Per esempio, è il caso di un paio di passaggi che scomodano i Dream Theater (“Ascension Chamber), o l’industrial schizofrenico e mescolato al death più elettronico di Strapping Young Lad e Fear Factory di “Mechanical Soul Cybernetichs”.
I brani presenti sull’album sono 11 (più eventuale bonus track finale), e la prima parte del disco è forse più potente ed immediata del resto. Intendiamoci: i buoni spunti sono qua e là disseminati lungo tutta l’opera, ma dopo un po’ i rimandi ad altri pezzi, soprattutto nelle parti melodiche, si sentono. Se i (comunque piccoli) problemi fossero solo quelli, l’album non ne risentirebbe un granché. Ciò che non si motiva -se non con una insana volontà di rimanere in una qualsivoglia maniera di rimanere fedeli ad un’ideale di purezza nei confronti dei suoni originali che non c’è mai stato, non esiste ora e probabilmente mai sboccerà- è il perché nostri abbiano deciso di sporcare le loro composizioni con un cantato in growling tanto caotico e confusionario, che poco porta alla causa se non il fatto, appunto, di rendere il complesso più intricato. Insomma, come al solito (e in questo gruppi come i Dark Tranquillity hanno degenerativamente fatto scuola), siamo di fronte ad uno dei capi saldi del death melodico (svedese e non), che funge altresì da spartiacque, e che spesso determina per l’ascoltatore medio la scelta di “acquistare” (come se l’ascoltatore medio comprasse ancora i CDs…) o meno il prodotto, supportare il gruppo con concerti, merchandising ecc. E se intanto gli assoli continuano (“Sculptur Void) poco conta, in quanto la mente di molti (o, quantomeno, del sottoscritto) è concentrata nello schivare mentalmente, o fingere di ignorare quei pesanti, cupi mascheroni sonori che il massiccio Roberth “Robban” Karlsson scaglia in faccia all’ascoltatore.
In conclusione, per quanto possa sembrare un cliché, questo album “di mestiere” si ritaglia onestamente il proprio posto nella discografia della band, certo non brillando come il capolavoro della carriera, ma svolgendo il suo lavoro in maniera egregia. Soprattutto per chi ama il lavoro chitarristico dietro alle composizioni e, per quanto puzzi di computer editing, quello delle percussioni. Bel lavoro in ogni caso.
Voto: 7