1. Seven Bells;
2. Goathead;
3. Serpent Messiah;
4. Blood Into Wine;
5. Worship;
6. Nyx;
7. The Three Beggars
Attivi dall’ormai lontano 1995, i tedeschi Secrets Of The Moon approdano alla soglia del quinto album in studio, passando fra qualche ep (soprattutto nell’ultimo periodo) e alcuni split assieme a nomi del tutto rilevanti come Armagedda o Lunar Aurora. Black metal è il genere che propongono, pur facendolo in maniera abbastanza originale e particolare, con suoni sempre puliti e un metodo di comporre ricercato, basato su lunghe canzoni composte da una numerosa quantità di riff abilmente intrecciati fra di loro; Carved In Stigmata Wounds è quasi universalmente l’apice riconosciuto del gruppo, assieme all’esordio Stronghold Of The Inviolables, dopo di che la qualità della proposta ha iniziato a peggiorare già dal terzo album Antithesis, uscito ormai sei anni fa.
Seven Bells è il primo full length targato Secrets Of The Moon che passa nel mio stereo dall’uscita di Antithesis, ma devo dire che, anche ad un ascolto distratto e veloce, le coordinate non sembrano essere cambiate molto. Approfondendo tutto il disco, ascoltandolo più e più volte, non si può non riconoscere l’indubbia qualità a livello compositivo dei tre tedeschi, anche ora che l’unico membro presente sin dagli esordi non fa più parte del gruppo. Ottimi arrangiamenti, buone atmosfere (l’intera “Nyx” ne è l’esempio più lampante), melodie in certi casi molto catchy e una produzione cristallina che valorizza anche i passaggi più melodici presenti nei brani. In generale, però, sembra di stare di fronte quasi ad un disco rock per l’incedere delle canzoni: la cattiveria e la malinconia (quest’ultima in particolare, visto la regione di provenienza della band) tipiche del black metal non sono presenti come dovrebbero, anzi, ciò che più salta all’orecchio di Seven Bells sono i ritornelli ripetuti, le cavalcate più epiche o gli arrangiamenti più “facili” in un certo senso. “Serpent Messiah” è davvero perfetta in questo contesto, a causa di un incedere più che sostenuto (i passaggi fra doppia cassa e tom fanno sempre la loro porca figura), un cantato che segue perfettamente i dettami, un ritornello davvero accattivante e alcune accelerazioni che ricordano quasi certi passaggi degli Strapping Young Lad. Ma è davvero questo che ci si aspetta da un gruppo black metal? Si parlasse dei Carpathian Forest, dei 1349 o dei Keep Of Kalessin forse sì, ma questo non è il caso (s)fortunatamente. Il percorso intrapreso dai Secrets Of The Moon forse vorrebbe seguire un po’ il calco di quello degli Enslaved, ma se questo è il risultato penso sia meglio lasciar perdere, anche perché qui davvero c’è poco di accostabile a lavori come Isa o Ruun, senza poi voler scomodare i primi lavori dei norvegesi altrimenti il paragone diventerebbe davvero fuori luogo.
Nonostante queste critiche, Seven Bells non è un album totalmente da buttare: le già citate “Serpent Messiah”, “Nyx” e anche la conclusiva “The Three Beggars” si lasciano ascoltare, coinvolgono e si fanno pure canticchiare. Accostarsi a questo disco richiede una buona apertura mentale e non perché il tutto stravolga le leggi musicali esistenti, ma perché i Secrets Of The Moon si sono alleggeriti ancora a livello di sound (e forse anche un po’ persi). Se il punto di vista fosse quello di un appassionato oltranzista di black metal la sufficienza sarebbe più che lontana e il tutto si liquiderebbe in una poderosa risata, ma visto che non lo è totalmente, penso che una sufficienza possa starci. Anche se probabilmente sarà l’ultima.
6.5