(Nuclear Blast, 2011)
1. Spectrum;
2. Kairos;
3. Relentless;
4. 2011;
5. Just One Fix;
6. Dialog;
7. Mask;
8. 1433;
9. Seethe;
10. Born Strong;
11. Embrace The Storm;
12. 5772;
13. No One Will Stand;
14. Structure Violence;
15. 4648
Sperare in un ritorno di Max Cavalera ormai è un utopia, il fratello Igor preferisce infangare il suo nome coi Cavalera Conspiracy, l’unica cosa da fare è immaginare una “fanta line-up” in cui compaia anche il signor Wagner Antichrist oppure rispolverare i vecchi capolavori del gruppo brasiliano. Fra queste, l’unica alternativa è far rivivere ancora una volta canzoni come “Inner Self”, “Dead Embryonic Cells” o “Escape the Void” dato che l’ultima uscita di Andreas Kisser & Co. risulta essere di una noia paurosa.
Premetto di essermi fermato a Roots, per quanto riguarda la loro discografia, e avendo sentito questo nuovo Kairos penso che la mia decisione divenga ulteriormente irrevocabile.
Sicuramente i fan più accaniti difenderanno questa uscita a spada tratta, altri si nasconderanno dietro al dito della competenza tecnica dei singoli musicisti, altri ancora probabilmente si limiteranno a constatare che i Sepultura non possono più essere quelli di Beneath The Remains o Arise; opinioni condivisibili o non, ma oggettivamente questo album non ha nulla che potrebbe attirare l’attenzione di chi ha, anche solo in minima parte, masticato come si deve i vecchi Sepultura o il metal in generale per un po’ di tempo. C’è veramente poco di salvabile in queste quindici canzoni o, perlomeno, chi vuole tentare l’esperienza di sentire qualche auto-plagio da Chaos A.D. misto ad un thrash/groove (definizione tremenda, ma è l’unica che può venire alla mente) innocuo e banale, è benvenuto. Derrick Green tenta malamente di mantenere un alto livello di vocals, ma sin dai primi brani (titletrack a parte) chi ascolta si rende conto di come la sua prova vocale sia debole e poco coinvolgente, nonostante qualche tentativo di scimmiottamento al buon Chuck Billy dei Testament, che in quanto a potenza ne sa qualcosa; come ciliegina sulla torta si può citare il ritornello di “Born Strong”, dove Green dà il meglio di sé incitando all’uso dello yo-yo. Tutto ciò che rimane si districa fra intermezzi in stile quasi ambient dalla dubbia utilità, riferimenti più o meno espliciti a Slayer ed Exhorder (oltre ai già citati Testament), episodi osceni come “Structure Violence” e plagi esagerati ai danni di Chaos A.D. È comprensibile che un gruppo possa avere un certo trademark all’intero dei suoi pezzi (i gruppi prima citati ne sanno qualcosa), ma qui la cosa si fa quasi scandalosa, oltre che sbandierata ai quattro venti: proprio “Kairos”, che dando il titolo all’album dovrebbe esserne la canzone trainante, mostra un ritornello davvero troppo debitore a “Territory“, nella successiva “Relentless” l’uso dei tom riporta alla mente “Refuse/Resist”, oltre a vari riffs sparsi che prendono a piene mani da “Propaganda” e “Slave New World”. Tutto questo potrebbe anche essere apprezzabile in fondo, ma dopo pochi minuti l’istinto di andare a prendere la propria copia di Chaos A.D. e ascoltarla diventa davvero irresistibile.
In conclusione, chi apprezza le recenti prove dei fratelli Cavalera (quali Soulfly o Cavalera Conspiracy) potrebbe apprezzare anche Kairos; chi invece pretende qualcosa di più di qualche riff scopiazzato o messo lì giusto per far scuotere un po’ la testa può tranquillamente evitare questa uscita e fermarsi ai Sepultura del 1996.
Voto: 4.