(EMI/XL Recordings, 2013)
1. Brennisteinn;
2. Hrafntinna;
3. Ísjaki;
4. Yfirborð;
5. Stormur;
6. Kveikur;
7. Rafstraumur;
8. Bláþráður;
9. Var
Contrariamente a quanto ci aspetterebbe dalla tipica freddezza della gente dei paesi nordici, i Sigur Rós stanno facendo incetta di interazioni con il proprio pubblico: dall’uscita di Valtari, che a distanza di un anno si può dire aver ricevuto i giudizi più disparati, i nostri hanno indetto vari concorsi a tema cinematografico, invitato più volte i propri fans a descrivere tramite immagini le sensazioni suscitate dal disco e girato il mondo in tour più di quanto abbiano mai fatto in quasi vent’anni di storia (per la cronaca, il prossimo mese saranno in Italia per ben tre date). Tutto questo nel momento più delicato della loro carriera dovuto all’abbandono ufficiale di Kjartan Sveinsson, a quanto pare avvenuto già prima dell’incisione di Valtari.
Kveikur, quindi, porta con sé tantissime aspettative: migliorare, per alcuni, quanto fatto con l’uscita precedente, rinnovarsi senza snaturare il proprio marchio di fabbrica, saper affrontare la dipartita di un componente fondamentale come Kjartan Sveinsson e non scadere nel facile binomio per cui a un’alta prolificità discografica segue necessariamente un calo della qualità nella musica. Con un compito così difficile poteva essere facile tentare di replicare la formula di un Takk… o di (), invece i Sigur Rós cambiano le carte in gioco e tirano fuori il disco probabilmente più cupo ed oscuro della loro carriera, feeling che si rispecchia appieno anche nell’artworkscelto. Con un uso dell’elettronica ben ponderato, una sezione ritmica sugli scudi (che era stata sacrificata in occasione di Valtari) e potenti aperture sulla voce di Jónsi, sembra di stare di fronte ai momenti più potenti di Popplagið o a ciò che sarebbe potuto essere Von se solo il gruppo avesse sviluppato il suo particolarissimo stile qualche anno prima (in questo senso i riarrangiamenti di “Von” e “Hafsól” presenti in Hvarf-Heim possono aiutare). Una incredibile linearità di fondo pervade tutto l’album, di cui il singolo “Brennistein” fa da apripista, e che trova il suo apice probabilmente nella stessa “Kveikur”, forse l’episodio migliore di tutto il disco. Non mancano altri ottimi brani in cui diversi momenti della storia dei Sigur Rós sembrano rispecchiarsi: “Hrafntinna” o “Yfirbord” ricordano un po’ Valtari mentre una “Isjaki” potrebbe riportare a Ágætis byrjun.
Personalmente avevo apprezzato moltissimo la deriva presa in Valtari, ma ciò non toglie nulla al fatto che Kveikur sia l’ennesimo ottimo disco in casa Sigur Rós oltre che l’ennesima conferma della capacità del gruppo di osare e reinventarsi senza troppi problemi. Ora ci rimane solo di sentire i brani nuovi in versione live e allora sì che potremo dirci soddisfatti in maniera ancora più completa.
7.5