(Roadrunner Records, 2014)
1.XIX
2. Sarcastrophe
3. AOV
4. The Devil In I
5. Killpop
6. Skeptic
7. Lech
8. Goodbye
9. Nomadic
10. The One That Kills The Least
11. Custer
12. Be Prepared For Hell
13. The Negative One
14. If Rain Is What You Want
15. Override (bonus track)
16. The Burden (bonus track)
Ne è passata di acqua sotto i ponti in casa Slipknot, ben sei anni sono trascorsi dall’uscita dell’ultimo album. La tragica dipartita del bassista Paul Gray nel maggio del 2010 e l’uscita dalla band dello storico batterista Joey Jordison, con tanto di cause legali al seguito, sembravano avessero dato il colpo di grazia alla band dell’Iowa; invece, nonostante questo pandemonio, i nostri uomini mascherati hanno tenuto botta producendo questo nuovo capitolo della loro storia dedicandolo alla memoria del compianto #2.
Rispetto al precedente multiplatino All Hope Is Gone si capisce fin dal primo ascolto che questo disco possiede un’essenza diversa. Tra le novità bisogna sottolineare una parte melodica che avrà un ruolo chiave. La tracklist è stata studiata minuziosamente per evitare di annoiare l’ascoltatore. Lo struggente brano d’apertura è “XIX”, in cui la voce di Corey Taylor ha un timbro drammatico in grado di creare disagio nell’animo dell’ascoltatore. Il pezzo successivo è l’energica “Sarcastrophe”, brano di impronta tipicamente Slipknot: chitarre distortissime, sampler in stile Iowa e si fa notare particolarmente anche #0 Sid Wilson. Le canzoni che senza dubbio lasceranno sorpresi molti ascoltatori sono “Killpop”, “Goodbye” e “If Rain Is That You Want”, brani che risentono pesantemente dell’influenza degli Stone Sour (l’altra “progenie” del frontman Taylor); in generale, lo stile che caratterizza questo nuovo album sembra essere un mix tra Iowa e Vol. 3: (The Subliminal Verses), oltre a quello dei già citati Stone Sour. Una nota dolente è però la voce di Taylor, che non sembra essere molto in forma in certi passaggi e spesso non riesce a trasmettere le emozioni che sta cantando.
Il nuovo bassista è il britannico Alessandro “Vman” Venturella, che sostituisce Donnie Steele (anche se in piccola parte anche lui ha contribuito all’incisione del disco come session musicians); bisogna aggiungere però che le tracce di basso sono state registrate per la maggior parte da James Root. Ad oggi, invece, ancora non si conosce l’identità del nuovo batterista (i rumors dicono che si tratti molto probabilmente di Jay Weinberg, staremo a vedere). Da quanto ascoltato nella release in esame si può dire che sia stato un buon colpo da parte del combo di Des Moines: il nuovo entrato è tecnico, preciso e con uno stile suo, ma piuttosto simile al suo scomodo predecessore: a mio modesto parere non fa rimpiangere colui che lo ha preceduto, ma per i fans più accaniti sarà dura accettare l’assenza dell’amato Jordison.
In conclusione credo che i Nostri musicisti mascherati ci abbiano comunque regalato un disco solido e godibile. Al netto di quanto detto sembra l’inizio di un nuovo corso, cosa che instilla anche una buona dose di curiosità, per questo speriamo vivamente che non sia l’ultimo disco della band, visto che Root ha affermato che ogni album potrebbe esserlo.
7.0