(Roadrunner Records, 2012)
1. Gone Sovereign
2. Absolute Zero
3. A Rumor of Skin
4. The Travellers Part 1
5. Tired
6. RU 486
7. My Name is Allen
8. Taciturn
9. Influence of a Drowsy God
10. The Travellers Part 2
11. Last of the Real
Nulla da fare, gli Stone Sour sono diventati un gruppo “commerciale” e altamente radiofonico. L’ascolto del nuovo House of Gold & Bones – Part 1 non può che rappresentare conferma a tale tesi.
In molti sostenevano, dopo le convincenti prove dell’album omonimo ma soprattutto del sorprendente Come What (Ever) May , che Taylor e soci stessero intraprendendo una strada alternativa (ma non troppo) al mostro Slipknot, ma come d’improvviso vennero dati alle stampe All Hope Is Gone (Slipknot) e Audio Secrecy (Stone Sour) e in tanti storsero il naso, dicendo che gli spettri della musica popolare fossero dannatamente reali e che probabilmente la strada intrapresa da ambo le band stesse per esserne irreversibilmente segnata. Certo, tenendo presente anche fattori esterni, come la moda, ai quali la band è sempre stata particolarmente attenta, il passaggio per gli Stone Sour a tali sonorità sembrava decisamente più giustificato e prevedibile ma l’ascolto di un album simile non può che riprendere il discorso intrapreso dal precedente full length, un discorso fatto di supposizioni e considerazioni che un attento e preparato ascoltatore non può che esprimere. La politica adottata dalla band è assolutamente astuta quanto prevedibile se attentamente analizzata. In molti dopo l’ascolto di “Gone Sovereign” (esattamente come per “Mission Statement” in Audio Secrecy) alzeranno le corna al cielo e, mentre la cervicale si diletterà nel peggiore headbanging, verrà da dire molto prematuramente un bel “sono tornati!”; ma già dalla successiva “Absolute Zero” tale teoria viene immediatamente confutata, in quanto ci troviamo dinnanzi un pezzo che puzza tremendamente di top of the pops, con un ritornello quasi pacchiano e arrangiamenti molto scontati. Anche le successive canzoni non fanno altro che confermare tale ipotesi, su tutte “The Travellers” e “Tired”, nelle quali troviamo addirittura delle orchestrazioni sinfoniche che per la band in questione erano assolutamente prevedibili, non per una crisi di idee quanto per un ottica assolutamente commerciale a tratti imposta. Intendiamoci, le composizioni sono assolutamente valide per gli standard odierni, la confezione è pressoché perfetta e considerando che stiamo parlando della band in cui un signore chiamato Corey Taylor è assolutamente libero di esprimersi, sarebbe infinitamente sbagliato limitare la sua bellissima voce facendogli cantare canzoni di side projects che nulla aggiungerebbero, come spessissimo accade, alla produzione della band originaria (per quanto gli Stone Sour siano cronologicamente anteriori agli Slipknot).
In conclusione parliamo di un album che, per quanto sufficiente, grazie soprattutto alla prova maiuscola di Mr. Taylor, a tratti delude per il semplice fatto che il voler puntare quasi esclusivamente su determinati stereotipi stilistici non può che inficiare a quello che rappresentava il vero punto di forza della band: la varietà.
6.0