(Shove Records, Desordre Ordonné, The Left Hand, Here And Now! Records, Fallo Dischi,
La Fine, Strom Records, Dischi Bervisti, Epileptic Media, 2014)
01. In Volo
02. Supernova
03. Fuga
04. Perchè La Bambina Cade
05. Sorridendo (Alla Possibilità Della Caduta)
06. D’istanti
07. Un Coltello – Compassione O Comprensione
08. Delle Nostre Vite Appese
09. Meditazione Sulle Eterne Massime – Parte I – Le Cose Peggiori
10. Meditazione Sulle Eterne Massime – Parte II – La Debolezza
11. Meditazione Sulle Eterne Massime – Parte III – L’accecante Guida
12. Human 2.0
13. Aspettandone Uno Vivo
14. Respiro
15. Per Le Tue Lacrime
Storm{O}. Sospeso a metà tra l’immagine di un folto gruppo di uccelli in volo, reminescenze apocalittico/neurosisiane (per via dell’accezione inglese del termine ‘storm’) e vicino di rimando a certi esoterismi che molti potrebbero associare ai Sunn O))) per quella ‘O’ tonda e vibrante messa tra parentesi graffe come una bocca spalancata in un urlo, mai nome mi è suonato così enigmatico e programmatico allo stesso tempo, chissà, forse per il modo in cui è stato concepito e riportato in forma scritta o più semplicemente per i significati che gli si possono attribuire. In realtà, del significato vero o presunto ci interessa poco, la cosa più importante è che gli Storm{O}, a scapito delle sonorità che li contraddistinguono, sono italiani, anzi italianissimi, e che quest’anno hanno rilasciato il loro primo full length, un macigno intitolato Sospesi Nel Vuoto Bruceremo In Un Attimo E Il Cerchio Sarà Chiuso.
Ultimamente s’è parlato molto del concetto di ‘italianità’ per gli italiani stessi e in generale nel mondo. Molti, per scuotere gli animi, sono andati a scomodare i nostri grandi avi, i detentori di quel genio che s’è diluito nel tempo a furia di reality, risse in parlamento e altre minchiate rimbecillenti, e in definitiva il dibattito è stato sollevato per autoinfondere fiducia nel paese e nei paesani a colpi di ‘Yes, we can’ presi a prestito, un po’ come iniettare adrenalina in un cadavere sperando che si rialzi come un Lazzaro postmoderno. Ma non è il caso di andare tanto indietro nel tempo, basterebbe aprire gli occhi per accorgersi che inventiva, creatività e voglia di fare non ci sono mai mancate, e in tutti i campi. Peccato che la musica non venga mai fatta rientrare in quest’ottica o concepita come una risorsa su cui investire in mancanza d’altro, e ci tocchi sempre fare i conti con una ridotta consapevolezza dei nostri pregi, che – quando non sono volti allo scimmiottamento delle mode estere – sono martoriati dalla scarsa sensibilità del pubblico, a volte pari a quella di una pietra.
L’Italia che vince per fortuna non si riassume e misura solo nella polo nera di Marchionne, nella farsa dell’Expo 2015 o nella nazionale quando non si fa massacrare agli ottavi di finale, ma passa anche da queste piccole e preziose perle di artigianato locale che purtroppo sanno cagare e si cagano in pochi. Insomma, i gioielli di famiglia. Testicoli o visoni della nonna, che differenza fa? È già tanto sapere che esistono, nei recessi delle mutande o in quelli di un armadio. Entrambi hanno un valore inestimabile per chi li possiede, li conserva e ne fa utilizzo o sfoggio. È in questo senso che vanno considerati gli Storm{O}, come una gemma dell’orgoglio musicale nazionale non da tenere nascosta, ma da far scoprire in patria e da esportare all’estero, da alzare a vessillo e di cui andare fieri.
Il quartetto di Feltre suona un post hc mezzosangue, imbastardito da mille influenze diverse e tutte pesanti, ma parente – se non proprio figlio – di altre band della scena italiana quali La Quiete, A Flower Collapsed, The Infarto, Scheisse! o The Death Of Anna Karina. Le componenti screamo sono evidenti e distribuite con la sapienza di chi le ha masticate e debitamente metabolizzate in alcuni scorci della sezione ritmica (assieme a quelle degli Orchid, le altre controparti ritmiche profumano tanto di Converge ed Envy quanto di The Dillinger Escare Plan) e nell’uso della voce. Le partiture armoniche sono di chiara derivazione hc, ma la chitarra, a differenza della marmorea presenza del basso, spazia a 360° tra i linguaggi dell’estremo alternando riff dissonanti a tapping a sferzate pulite dal gusto indie fino a raggiungere talvolta picchi black metal-ambientali che ricordano certi Deafheaven, e tiene il tutto assieme grazie ad un uso sapiente ma mai ingombrante degli effetti. I testi fanno pensare ad un Emidio Clementi in para dura da acidi e depressione e, pur essendo alquanto ermetici (per favore non pensate a Godano), suonano viscerali, urgenti e sentiti, ma soprattutto sono sputati fuori da una voce che non posa per niente artefatta, voce che ho trovato dal primo istante in cui si è fatta largo nel marasma del secondo pezzo fino alla conclusione del disco, sinceramente ispirata e personale. La scelta del cantato in italiano poi, il succo dell’italianità dei Nostri, dona carattere al tutto senza stridere con la musica e soprattutto senza stufare.
Intro atmosferica a base di mid-tempo, delay ed e-bow a parte, già “Supernova” mette in chiaro le regole del gioco con un subliminale ma perentorio ‘qui non si scherza’. Gli Storm{O} non solo sanno suonare bene, ma sono dotati di una buona capacità di sintesi che in fase compositiva gli ha permesso di condensare in pochi minuti – e talvolta in pochi istanti – umori, influenze e gusti assai distanti (“Perché La Bambina Cade” vs. “Sorridendo”, ad esempio), ma che viceversa non fiacca l’integrità, l’andamento e la compattezza del disco intero: ogni singola traccia brilla di luce propria se estrapolata dal tutto e fa volume di fuoco quando sommata alle altre. Andando avanti colpiscono le parole di “D’istanti” e il frammento in tapping che fa prendere al pezzo una piega articolata e melodica prima di richiudersi sul riff hardcore che sfocia nei due minuti scarsi di “Un Coltello”. “Delle Nostre Vite Appese”, dal cui testo è stato prelevato il titolo dell’album, costituisce il cuore (emo) del disco con un impeto tra il romantico e il sognante, mentre la successiva traccia articolata in tre episodi “Meditazione Sulle Eterne Massime”, parecchio in coda agli ultimi Converge, riporta sui binari il treno in corsa e lo spinge a ulteriori livelli di dinamismo. Seguono “Human 2.0” e la violentissima scheggia blastata di “Aspettandone Uno Vivo”, due brani che menano prima di far mollare un po’ il tiro dall’ossessiva e semi-acustica ballata post industriale di “Respiro”. Sospesi Nel Vuoto… si chiude infine con “Per Le Tue Lacrime”, dove in soli tre minuti e mezzo tellurici e ben architettati la band riassume le molteplici venature delle precedenti tracce.
Finito il disco la bocca rimasta aperta fino a quel momento si richiude da sola e cuore, orecchie e cervello provano all’unisono un diffuso senso di appagamento: le cose da dire sono state dette in maniera esauriente e sono passate facendo breccia, con una grinta e una potenza che a confronto fanno sembrare le ultime due generazioni di metal-corers degli umili pataccari. I suoni non sono forse personalissimi seppur ripresi e proposti al naturale, ma mi vien da pensare che siano perfettamente ascrivibili allo standard di questo genere non-genere, e valgono comunque una tacca in più sul bill dello Studio73 di Ravenna, sempre più frequentato da chi suona roba pesante. La produzione lascia infatti spazio eguale a tutti gli strumenti, senza a quanto pare esagerare sulle compressioni e facendo respirare il tutto come in realtà dovrebbe sempre essere (complice anche il mastering a cura di Alan Douches). Non male pure l’artwork, incentrato su un enigmatico fotogramma in bianco e nero, molto della serie ‘dico/non dico’, ma che si sposa sobriamente col titolo e fa la sua porca figura.
L’Italia sotterranea che nessuno considera ha segnato un altro punto, per quanto questo possa valere agli occhi dei più. Ma in un paese in cui la musica (a livello professionale così come dilettantesco) è considerata tale solo se presentata dalla Defilippi o da un suo surrogato, la piccola epopea dei quattro di Feltre e del loro disco è un’indiscussa vittoria qualitativa, tanto più se ben nove etichette indipendenti hanno lavorato/investito per licenziarlo. E allora perché farsi tante seghe su quanto siano bravi e fighi gli americani quando a chilometro zero c’abbiamo gli Storm{O}? L’Italia dei talenti passa anche di qua, nevvero? Andatelo a spiegare al ministro dei beni culturali o delle politiche giovanili. Anzi: no.
8.5