(Southern Lord Recordings, 2014)
1. Let There Be Light;
2. Western Horn;
3. Eternal Return
E finalmente ci siamo, la tanto vociferata collaborazione fra i due nomi più di spicco di una certa avanguardia musicale si è concretizzata e ci ha lasciato in eredità tre lunghi movimenti dove l’estro dei due progetti ha potuto trovare un’unione compiuta. Le aspettative dietro Terrestrials sono ovviamente altissime, la fotografia di quella fantomatica testpress finalmente ha trovato compimento in un risultato uditivo.
Gli Ulver, come sappiamo, arrivano dall’incredibile cavalcata che li ha portati a pubblicare una valanga di uscite più o meno utili, ad un tour che sembra infinito e alla pubblicazione di Messe I.X-VI.X, il loro miglior album da Shadows Of The Sun in poi. I Sunn O))) invece devono bissare quanto fatto in Monoliths & Dimensions, ultimo loro full length in studio (se escludiamo la collaborazione con Nurse With Wound), e il recentissimo LA Reh 012, ricco di materiale tutt’altro che indimenticabile. Come prevedibile Terrestrials si rivela un concentrato di influenze, soluzioni e pulsioni davvero denso e corposo, dove si sente l’enorme lavoro e la grande ispirazione di chi vi ha lavorato. Descrivere un’uscita del genere è tutt’altro che facile: recensire un disco porta con sé, volenti o nolenti, un’opera di dissezione e parcellizzazione che spesso si vorrebbe evitare, per questo tenterò di considerare Terrestrials come un unico monolite composto sì da varie correnti, ma appartenenti tutte allo stesso fiume.
Sunn O))) e Ulver hanno già collaborato in passato nel brano “CUTWOODeD”, presente in una super limitata ristampa di White1, ma il risultato che ne scaturì è decisamente diverso rispetto a Terrestrials in quanto molto monotono, oscuro e probabilmente ancora dato da una certa dose di inesperienza. I tre movimenti che ascoltiamo oggi presentano uno spettro di influenze che va dal kraut rock (Popol Vuh o Amon Düül II) al rarefatto e recente folk/drone degli Earth, dalle sperimentazioni dei Barn Owl a evidenti richiami alle stesse uscite degli ideatori della collaborazione: così se da un lato un profondo ascendente deriva sicuramente da Dømkirke (“Why Dost Thou Hide Thyself in Clouds?”, ma in generale tutto il disco, per il sottoscritto il miglior parto di O’Malley e Anderson) e Monoliths & Dimensions, dall’altro si assiste ad un lavoro profondamente debitore di Messe I.X-VI.X e dei momenti più intimistici dei norvegesi. Sembrerebbe tutto fantastico, ma purtroppo per chi scrive non lo è. Le grandi intuizioni sparse in Terrestrials non sembrano sempre trovare un compimento adeguato, una conclusione definitiva. E, a malincuore, è a questo punto che tocca dividere questo disco in due parti: quella meno riuscita e quella che fa gridare al capolavoro. E dove potrebbe sussistere questa divisione se non in “Let There Be Light” e “Western Horn” da una parte e in “Eternal Return” dall’altra? Quest’ultima, forse dal lato più ulveriano (il rammarico per non assistere ad una performance congiunta di Garm e Attila è incredibile), contiene in sé tutti i fiori delle intuizioni delle prime due dove i germogli fanno fatica a sbocciare, calati in una coltre che sa quasi di incompiutezza (voluta o non, non importa). Caratteristica che inevitabilmente ti stampa in mente i vocalizzi di Kristoffer Rygg, ma ti lascia ricordi confusi e sfuocati di ciò che viene prima facendoti arrabbiare per l’incredibile occasione sprecata o mal sfruttata.
Sicuramente Terrestrials farà gridare al capolavoro più per i nomi coinvolti che per l’effettiva incontestabilità di ciò che vi è contenuto; così come le enormi aspettative (o l’hype come si dice da qualche tempo) che vi stanno dietro – e il fatto che i preordini di questa uscita abbiano battuto ogni record in casa Southern Lord lo dimostra – possono rivelarsi le più fragili, ma tutto questo fa parte del gioco. Il voto è puramente indicativo di quel che chi scrive è riuscito a cogliere, cosa che è in ogni caso destinata a cambiare col proseguire degli ascolti.
7.0