(Terratur Possessions, 2012)
1. Sterile Seeds;
2. The Perpetual Nothing;
3. Flesh Cathedral;
4. Psychoactive Sacraments
Gli Svartidauði sono un gruppo black metal islandese con all’attivo finora solo releases minori, in particolare tre demo e uno split con i cileni Perdition, che esordisce quest’anno con l’album Flesh Cathedral licenziato dalla norvegese Terratur Possessions; tramite la suddetta etichetta sta passando gran parte della recente rinascita black metal norvegese (merito, fra gli altri, di ottimi progetti come Dark Sonority, Mare e Vemod), quindi le premesse relative a questa uscita sono a dir poco ottime.
Lo stile proposto è un black metal di stampo decisamente religious (o orthodox che dir si voglia) che, pur peccando di originalità e prendendo a piene mani dai nomi più famosi del genere, coinvolge e risulta davvero ben realizzato sia a livello di atmosfere che di composizione. Probabilmente l’episodio migliore è “The Perpetual Nothing”, che condensa in “soli” dieci minuti di durata tutte le caratteristiche del disco (senza perdersi come succede un po’ nella conclusiva “Psychoactive Sacraments”), che sono: vocals al vetriolo, ritenute il punto debole da molti ma che personalmente ritengo azzeccatissime nel contesto dei brani, riff sulfurei e luciferini che più volte si rifanno ai Deathspell Omega del periodo di Si Monumentum Requires, Circumspice, e atmosfere davvero malsane stile ultimi Funeral Mist. La lezione religious impartita una decade fa dagli Ondskapt (e di conseguenza anche quella puramente black metal di vent’anni fa dei Mayhem del De Mysteriis Dom Sathanas) pare ben recepita e sviluppata, accorpata anche con dissonanze vicine a certi passaggi di chitarra di Blut Aus Nord, Aosoth e ancora Deathspell Omega periodo Kénôse. Tutto molto interessante e viscerale, Flesh Cathedral risulta essere un’uscita di spessore nel 2012, ma purtroppo pecca un po’ di piattezza e alla lunga annoia leggermente; detta in soldoni, tutti e quattro i brani presenti offrono ottimi passaggi e soluzioni, ma dopo l’ascolto poche cose rimangono impresse ed è questo il limite più grande di questo disco.
Risultare interessanti in un genere come questo non è assolutamente facile, soprattutto se si conoscono coloro che bene o male sono considerati i pilastri in questo campo, ed è per questo che, nonostante il limite evidente già evidenziato, ci sentiamo comunque di premiare gli Svartidauði, fiduciosi che in un futuro prossimo potranno camminare di più con le proprie gambe e risultare molto più incisivi e memorabili di quanto siano ora.
7.0