(Century Media Records, 2013)
1. Of Matter
I. Proxy
II. Retrospect
III. Resist
2. Of Mind
I. Nocturne
II. Exiled
3. Of Reality
I. Eclipse
II. Palingenesis
III. Calabi-Yau
4. Of Energy
I. Singularity
II. Embers
Ascoltando questo dischetto, un insistente interrogativo continua a frullarmi in testa: “Ma il nuovo disco dei Cynic non esce in autunno?”. Poi, guardando fuori dalla finestra, effettivamente mi accorgo che forse l’autunno è già arrivato. È in questa surreale situazione che si profila Altered State dei Tesseract, e mai titolo fu più appropriato per una simile opera: il djent che si fonde con un cantato simile a quello tipico di Paul Masvidal è effettivamente l’alterazione di qualcosa che in origine non possiede tali caratteri. “Viva la novità”, si dirà allora; io dico invece che è preferibile Carbon-based Anatomy a questo Altered State. Ma andiamo con ordine.
I Tesseract si inseriscono sicuramente nel filone del metal più progressivo e al contempo moderno e oserei dire “accessibile” (nonostante progressivo ed accessibile spesso non vadano d’accordo): il djent appunto, definizione onomatopeica che oramai conosciamo bene tutti. Alle partiture di stampo Meshuggah qui si aggiungono le progressioni dei Cynic, anche se la band inglese non possiede né la matematica spietatezza dei primi né la gentilezza e l’eleganza dei secondi. Effettivamente, si tratta di paragoni scomodi, ma sono davvero i primi pensieri che affiorano alla mente all’ascolto di questo
secondo disco degli albionici. Il disco è sicuramente frutto di una comunque profonda riflessione sia dal punto di vista musicale, essendo (auto)prodotto e suonato egregiamente, sia da quello concettuale: basta dare un’occhiata ai titoli per scoprire che l’opera è divisa in quattro movimenti che raggruppano le tracce. Gli arrangiamenti non sono però sempre brillanti, soprattutto per quanto concerne la parte finale dell’album, che comunque dal punto di vista musicale si fa apprezzare senza risultare pretenzioso. La vera macchia del disco è un’altra: la voce del neoarrivato Ashe O’Hara risulta stucchevole e decisamente poco incisiva in diverse situazioni, ad esempio nel finale di “Of Matter – Retrospect”, oltre a rivelarsi spesso fuori luogo ed in generale poco amalgamata al contesto intero: O’Hara ci sa sicuramente fare, ma appunto non è Paul Masvidal, il cui spirito aleggia incessantemente nelle composizioni, risultando una chiara ispirazione per la voce dei Tesseract.
Sicuramente, un approccio interamente strumentale sarebbe stato preferibile, dato comunque l’interesse che le composizioni riescono a suscitare a più riprese, ed in tal senso un plauso va sicuramente alla sezione ritmica Postones/Williams ed in particolare a quest’ultimo, responsabile assieme al chitarrista Kahney della produzione del disco; tuttavia la voce di O’Hara risulta spesso pesante, influendo in maniera troppo negativa sull’economia del suono della band per poter effettivamente valutare l’opera trascendendo da essa. Probabilmente i Tesseract hanno raggiunto il risultato da loro aspettato; io dico che converrà forse aspettare l’autunno che verrà.
6,5