(eOne/Good Fight Music, 2012)
01. Holomovement
02. Feedback Loop
03. Causality
04. Sequential Vision
05. Geocentric Confusion
06. Dreaming Schematics
07. Anatomy Anomalies
08. Cortical
09. Solipsis
10. Parallel Trance
The Contortionist: dal nome della band stessa si evince già quello che ci si può aspettare da una band che sceglie un monicker del genere, ma andiamo con ordine. I nostri vengono da Indianapolis e dopo due EP usciti nel 2008 e 2009 arrivano al secondo lavoro sulla lunga distanza intitolato Intrinsic, che segue il primo full length Exoplanet. Come dicevamo in precedenza, il nome della band lascia poche ombre su quello che può essere il genere proposto: un djent metal con forti tinte progressive classiche. I The Contortionist hanno dato alla luce quattro lavori in quattro anni, dato che li rende una delle band più attive del “neonato” panorama djent, che sta vivendo un vero e proprio stato di grazia con uscite davvero di grandissimo livello (l’ultima dei Periphery su tutte).
Analizzando questo Intrinsic si può affermare che la preparazione tecnica del combo è davvero di alto livello, senza descrivere minuziosamente quanto bravi sono i singoli componenti (requisito base per chi suona un genere come quello proposto in questo disco) possiamo semplicemente dire che Robby Baca, Christopher Tilley, Jonathan Carpenter, Joey Baca e Cameron Maynard sanno benissimo quello che stanno facendo, o meglio, suonando. Le strutture sono studiate nei minimi particolari e quasi tutti i pezzi sono sopra i quattro minuti, indice che il songwriting della band è complesso e molto denso di cambi di tempi, riff irregolari e progressioni vocali dal pulito allo scream (con momenti che riportano alla mente in maniera forte i primi Opeth).
L’opener “Holomovement” delizia l’ascoltatore con i suoi sei minuti abbondanti pregni di capacità tecniche e soluzioni che prendono ispirazione dal jazz in alcuni passaggi, per poi unirsi a strutture tanto care a band come Textures e Between the Buried and Me, in un vero e proprio crossover tra partiture post rock e brutalità controllata in stile deathcore, che si ripete e si rafforza in episodi riusciti alla perfezione come “Feedback Loop” o la sublime “Geocentric Confusion”, in cui la band tocca l’apice del proprio sound, evolutosi col tempo, trovando forse la maturazione definitiva. Quello che fa di Intrinsic un disco riuscito (e che invece è il tallone d’Achille per molti altri “colleghi”) è la sapienza nel mescolare progressioni e momenti più d’impatto: sapienza che era mancata in precedenza e non aveva fatto gridare al miracolo (se non in parte per Expoplanet) finora nei due EP e nel debut album. Qui invece il calderone djent trova nei The Contortionist dei degni rappresentanti, che riescono a tirare fuori il meglio da ogni singola influenza che compone la loro proposta, di certo coraggiosa, e non assimilabile al primo ascolto.
Siamo di fronte a un disco ambizioso, che cerca di mettere d’accordo puristi della tecnica e amanti della potenza, cose che difficilmente riescono a coesistere. Qui invece le due anime del metal, così lontane, trovano un punto d’incontro che rende questo Intrinsic un lavoro davvero riuscito.
7.0