(LADLO Productions, 2012)
1. Al Azif;
2. Visions of R’lyeh;
3. Jonas;
4. Rue d’Auseil;
5. The Truth;
6. My Love for the Stars (Cthulhu Fhtagn)
Al Azif è l’album di debutto dei The Great Old Ones che, secondo la descrizione dell’etichetta, mirano a seguire un po’ il filone dei vari Altar Of Plagues e Wolves In The Throne Room aggiungendoci in più una forte devozione verso l’opera di H.P. Lovecraft, tanto da dedicargli anche il monicker del gruppo. Pur essendo la prima uscita ufficiale, questi cinque ragazzi francesi sono riusciti ad avvalersi dell’aiuto di addetti ai lavori piuttosto importanti: da una parte Cyrille Gachet (Year Of No Light) per le registrazioni e dall’altra Alan Douches, già al lavoro con Tombs e Dillinger Escape Plan, per il mastering.
Ciò che salta subito all’orecchio è la capacità compositiva dei The Great Old Ones: pur essendo attivi ufficialmente solo da tre anni, sono comunque riusciti a dar vita ad un album che mostra una certa continuità sia di intenti che di atmosfere, con passaggi fluidi e non forzati, verrebbe da dire quasi naturali in certi punti. Ovviamente questo è un grosso punto a favore, raramente capita di sentire una maturità così alta in questo senso già dall’uscita del primo album, anche se bisognerà paragonarlo poi alle successive uscite. Altre due particolarità emergono subito: la quantità enorme di influenze presenti (che discostano il gruppo dall’essere un mero clone dei due citati prima) e il tipo di atmosfera che ne consegue. Se in parte l’accostamento agli Altar Of Plagues (e magari anche ai Krallice) è giustificato (il finale della terza “Jonas” per questo è abbastanza esplicito) non tutto l’album si riduce a questo: la titletrack posta in apertura porta con se un paio di passaggi chiaramente influenzati dagli Opeth, la già segnalata “Jonas” si richiama senza troppe remore a Neurosis e Omega Massif almeno nella parte iniziale, spesso fanno capolino gli Envy, soprattutto quando il cantato è al centro dell’attenzione; insomma il termine “ambient/post black metal” assegnatogli dall’etichetta sembra davvero troppo restrittivo, anche perché di black metal effettivamente ne compare molto poco, se non in qualche accelerazione o nelle parti più brutali e di ambient non ce n’è la minima traccia. E questo porta a collegarsi al problema delle atmosfere; da lettore accanito di H.P. Lovecraft mi aspettavo ben altro tipo di emozioni, magari legate all’angoscia, alla paura, all’inquietudine e alla morbosità, qui invece il tutto sembra spingere verso qualcosa di più umano, triste e malinconico che personalmente ritrovo di rado negli scritti dell’autore di Providence. Arrivare al livello dei Portal in quanto ad abissalità penso non sia possibile per nessun altro, ma magari tentare di virare verso qualcosa di più cupo e insondabile sarebbe stato più consono. Detto questo, Al Azif coinvolge davvero tanto, l’ascolto prosegue senza nessun tipo di intoppo anche se magari ogni tanto spunta qualche soluzione leggermente abusata, ma ciò non intacca assolutamente il livello del disco. In conclusione, soprattutto alla fine dell’ultima “My Love for the Stars (Cthulhu Fhtagn)”, si ha effettivamente la sensazione che vi sia ben poco di metal convenzionale in questa uscita: le atmosfere, i crescendo continui, i riff trascinanti e il cantato sembrano dirigersi più verso il post rock che verso una commistione di questo con il metal estremo, nonostante non manchino parti in doppio pedale o in blast beat.
Un debut album davvero notevole, bisogna riconoscerlo. Per chi sa andare al di là delle etichette affibbiate a cuor leggero Al Azif potrebbe essere una buona scoperta in attesa delle prossime uscite che ci mostreranno se i The Great Old Ones sono solo una meteora (più o meno come i Grandi Antichi da cui prendono il nome) oppure se sono destinati a qualcosa di più. Augurandoci che prendano più spunto dagli abissi di R’Lyeh, di Leng o di Kadath per quanto riguarda le atmosfere, per ora sono promossi a pieni voti.
7.5