The Modern Age Slavery + Fleshgod Apocalypse + Jolly Black Sins + Dementia Senex
Vidia Club, Cesena (FC)
18 / 12 / 2010
Arrivo al Vidia Club di Cesena sin dal pomeriggio, intenzionato a intervistare una fra le band che in questi ultimi anni è maggiormente riuscita a scuotere il panorama underground italiano. Quello che si nota sin da subito è la maniacale precisione con la quale i fonici affrontano il sound check, testando in rapida successione i diversi strumenti per poi dividerli, sezionarli, ricalibrarli e ricominciare tutto daccapo. Questa sera sul palco i gruppi sono quattro, e si spazia dal death metal classico dei Dementia Senex a quello vagamente più moderno, melodico e dalle tinte industrial dei Jolly Black Sins, e terminando con tinte decisamente più tecniche per i due co-headliners, Fleshgod Apocalypse e Modern Age Slavery. Coinvolti in un mini-tour di tre date fra il centro e il nord-Italia, quest’ultimi sono stati costretti a cancellare la data vicentina del giorno precedente a causa delle intense nevicate che hanno compromesso la situazione e si ritrovano così proprio al Vidia a presentare le anteprime dei nuovi pezzi, in arrivo il prossimo anno.
La serata si apre poco dopo le 21:30 con i Dementia Senex. Autori di un death metal classico, di scuola americana, questa sera suonano in formazione ridotta a causa dell’assenza di uno dei due chitarristi. Purtroppo, il pubblico è ancora poco (circa una trentina di persone) e, come spesso succede, gran parte degli spettatori è composto dagli stessi membri delle altre band o da un manipolo di amici del gruppo stesso. La performance è buona e i suoni sono sopra alla media se consideriamo i pasticci sonori che spesso avvengono a inizio concerto. Il buon lavoro fatto dai fonici fa sì che gli strumenti si distinguano fra loro e, nonostante lo stile del gruppo preveda frequenti tempi dispari, rallentamenti e ritmiche non certamente lineari, l’esecuzione si lascia seguire bene. Dopo poco più di una ventina di minuti la palla passa ai secondi opener della serata, anche loro provenienti dal circondario.
Ho visto questi ragazzi crescere musicalmente e, personalmente, non mi capitava di assistere a un loro live da qualche anno. Se c’è una cosa certa è che la presenza scenica dei Jolly Black Sins è notevolmente migliorata. Si muovono con convinzione sul palco e le loro canzoni sono ricche di dialoghi, soprattutto fra chitarre e tastiere, che ora più di prima risultano azzeccati. L’esibizione è incentrata sulla presentazione del loro ultimo EP, uscito nel 2010 e registrato allo Studio 73 di Ravenna dall’ormai affermato Riccardo Pasini. Rispetto al gruppo precedente si nota una maggiore complessità proprio nei dialoghi fra gli strumenti anche se, forse, è proprio questo a penalizzare la loro resa sonora in sede live. I suoni del Vidia si fanno talvolta impastati e i continui cambi di tempo non aiutano certo a mettere ordine all’interno della situazione. Nonostante la buona esibizione del gruppo, il pubblico partecipa poco e sembra non volersi lasciare coinvolgere. Peccato! Anche in questo caso, il tempo a loro disposizione è di poco meno di mezz’ora, e intanto il Vidia comincia a intiepidirsi.
Il cambio di tempo lievemente più lungo dei precedenti è imputabile alla struttura complessa che occupa la sezione ritmica dei Fleshgod Apocalypse. La batteria ha un totale di dieci piatti e una doppia cassa che, adeguatamente triggerata, garantirà l’assalto sonoro per i quasi quaranta minuti di show della band perugina. Accolti dal consueto intro di violini, i quattro salgono sul palco in un elegante doppio petto, ma non privi di un corpse painting che gli ricopre il volto. Dopo una breve dichiarazione di guerra si parte, e il cantante Tommaso tenta ripetutamente di incitare il proprio pubblico. Nonostante si tocchino picchi notevoli con la cover di “Blinded by Fear” (At the Gates) e pezzi quali “Through the Scars” e “Requiem in Si minore”, l’immobilità vige sovrana. Ovunque tranne che, ovviamente, sul palco, dove i quattro sono in costante headbanging nonostante la costrizione applicata dai loro abiti di scena. I pezzi presentati sono equamente estratti dal loro album di debutto, Oracles, uscito nel 2009, e dal nuovissimo Mafia EP. Dopo una quarantina di minuti abbandonano il palco, essendosi fatti valere. E si passa così agli headliner per questa gelida serata Cesenate.
I Modern Age Slaveryhanno ormai consolidato un loro stile di Death-metal moderno e portano finalmente un po di calore e qualche emozione fra il pubblico della serata. Pur avendoli visti più volte, posso decretare l’ esibizione di sabato sera come una delle migliori a cui abbia potuto assistere; precisi come delle macchine ed impeccabili come di consueto, ma con quella brillantezza che spesso a gruppi di questo calibro, reduci da decine di date a fila, manca. Il repertorio è composto dai pezzi che più li hanno consacrati, anche se chiaramente rielaborati. Difatti, conoscendo a memoria i brani in versione cd, si notano cambi e varianti assenti nell’ultima esibizione live, i quali vanno a formare un quadro ancora più elaborato e d’ impatto nelle canzoni. A tal dimostrazione, c’è il pad elettronico usato da Reynoldz durante i pezzi, il quale fa un unico suono simile ad un esplosione. Introdotto negli attacchi più pesanti si ha l’ effetto di una martellata in mezzo al petto. Nella scaletta spunta fuori l’anteprima estratta da quello che sarà, nei primi mesi del 2011, il successore di Damned to Blindness. Lo stampo è quello tipico, ma l’idea è elaborata diversamente nel suo indice di influenze e sfumature; in pratica risulta un pezzo che incuriosisce e lascia trasparire buone speranze per il nuovo cd. Concludendo, i Modern Age Slavery sono un gruppo che non delude mai. Impatto, tecnica, velocità, headbanging. Tutto assieme in un unico contenitore da cui vengono tirate fuori performance sempre da ricordare.