(Sinusite Records, 2011)
01 – The Hollow
02 – Prison of Social Conformity
03 – Showing Muscles
04 – Intimacy
05 – Sick
06 – The Lost Art of Pretending
07 – In this Hole
08 – Alice
09 – SBV
I PotT rappresentano una novità stilistica nel panorama underground italiano. Partendo da una formazione musicale basata sull’elettronica, la band si forma nel 2009, a Torino. All’inizio sono “soltanto” un duo: Emanuele Bertasso (voce e testi) e Simone Seminatore (chitarra). All’indomani della firma per la italianissima Sinusite Records, tuttavia, la band amplia i suoi orizzonti e decide di incorporare altri componenti: Simone Roseo (basso), Fabio De Filippo (cori ed elettronica) e Manuele Miceli (batteria). Ed è così che, poco più di un anno dopo aver siglato il contratto, esce questo To Those in the Eyes of God, primo lavoro sulla lunga distanza per la band piemontese.
Nonostante ciò, naturalmente, l’aggiunta di elementi non ha mutato le caratteristiche fondanti della band, ossia il mix di atmosfere fra l’elettronica e l’ambient con una solida base composta da chitarre e bassi, adeguatamente cupi. I gruppi di riferimento che sovvengono all’ascolto dell’album sono i Nine Inch Nails, o gli A Perfect Circle, rivisitati e portati in chiave contemporanea. Atmosfere dark, dilatate e ben cadenzate (“Prison of Social Conformity”), sono ben bilanciate da brani più aggressivi, tendenti al post-hardcore (“Showing Muscles”, non a caso). Quello che ne esce ricorda una forma più digitale e, spesso, più feroce di quanto proposto da un altro gruppo di riferimento utile per inquadrare il carattere della band: gli … And You Will Know Us by the Trail of Dead. I brani (nove tracce più sorpresa, per poco meno di quaranta minuti di musica) scorrono bene, e rappresentano un appropriato sottofondo che, tuttavia, gode di notevoli risvegli. Ne è un esempio l’unico brano cantato in italiano, intitolato “Alice”, che parte con una base fortemente orientata all’elettronica e scatena pian piano un crescendo di chitarre. Oppure la finale “SBV”, che ricorda i primi Skunk Anansie o i Tool.
Un album non certamente facile da digerire, proprio per via del buon processo di costruzione dei brani che sta alla base. Il genere suonato, inoltre, rende la proposta certamente originale ed inusuale per il mercato musicale italiano in generale. I dettagli del disco, dall’artwork al bilanciamento dei suoni, sono altamente curati, rendendo la prima prova dei torinesi The PotT un debutto con certi spazi di miglioramento, ma che ben afferma le intenzioni della band.
7.0