In Piemonte, malgrado una tradizione di musica estrema decisamente onorevole – dagli anni Ottanta targati Negazione, siamo passati ai Novanta rappresentati da Mind Snare e Cripple Bastards, fino all’ultimo decennio con Septycal Gorge e Putridity –, portare dal vivo certe sonorità non è mai stato troppo semplice. Non voglio entrare nell’ennesima, sterile, inutile e retorica polemica circa la difficoltà di rapporto con certi locali che paiono snobbare le risorse artistiche del territorio, l’ottusità d’ascolto di taluni individui che si proclamano trve metal supporters o hardcore kingz e così via (certi personaggi, certe situazioni, certi disagi sono presenti, in una certa misura, un po’ ovunque: tutto il mondo è paese), bensì sottolineare quanto, un po’ a causa di tali condizioni, un po’ per l’effettivo talento manageriale dei ragazzi in questione, da diversi anni lo United Club, circolo ARCI di Torino, sia un vero e proprio fulcro catalizzatore di piemontesi – e non solo – che preferirebbero un calcio fra le gengive ad un live dei Subsonica o dell’ennesima cover band mal riuscita di Marilyn Manson. Il locale, complici il suo ambiente intimo ed il suo stile, è decisamente vincente e competitivo, pur non essendo fra i più grandi: a mio parere, soprattutto, se la serata è azzeccata (e ce ne sono state molte, grazie al passaggio di alcune delle band sopraccitate, nonché al coinvolgimento di artisti come 16, Wormrot, D.O.A., o la recente riuscitissima iniziativa dello United for Emilia), lo United Club può diventare il classico luogo per godersi un concerto, come si dice, “di culto”; quelli non per ventimila persone, ma per quei “pochi ma buoni” che, anni dopo, faranno crepare d’invidia amici e conoscenti, dicendo: “Ebbene sì, a ‘quel’ live, io c’ero!”
Nella serata del 28 settembre, queste basi c’erano: il flyer, infatti, voleva mettere in scena tre band estreme della nostra Penisola, magari distanti tra loro come sonorità, ma piuttosto vicine a livello attitudinale, ovvero, gli straordinari grinders modenesi Jesus Ain’t In Poland come headliners, supportati dai pachidermici ultra-doomsters triestini Grime e dai sorprendenti biellesi O. Purtroppo, pochi giorni prima dell’evento, vengo a conoscenza del fatto che i Jesus Ain’t In Poland, per problemi lavorativi, non possono fare parte della serata; mentre mi mangio le mani, però, scopro che i nostri verranno sostituiti da una band torinese doom, i Tons. Rapidamente m’informo su chi possa essere il suddetto power-trio e quanto reperisco, fra una ricerca su Google ed un’altra su Facebook, mi basta per farmi tornare la voglia di vedermi questo live in quel di Torino.
O
Ad aprire le danze in un locale che, attorno alle 23,10 – non capirò mai perché i torinesi si sentano dei perdenti se escono a fare serata alle 21,30; nota di Glauko –, non è ancora pieno, ci pensa il quintetto di Biella. La curiosità di vedere questi ragazzi all’opera – li avevo visti ad inizio 2009, di spalla ai Cripple Bastards, quando ancora si chiamavano Deprogrammazione, ma il loro live non m’aveva per nulla convinto – è a dir poco alle stelle: il loro ultimo full length, Il Vuoto Perfetto (Grindpromotion, 2012), è una delle perle dell’estremo dell’anno corrente, capace di conciliare atmosfere black a furia grind e momenti decisamente post, figli di Isis e Converge, a tradizione europea doom. M’aspettavo una maggiore attenzione della loro scaletta sugli introspettivi ed emozionanti pezzi dell’ultimo disco, ma gli O hanno saputo sorprendermi, pescando dal loro passato – neanche troppo remoto – grindcore, sfoderando diverse songs a tutto blast-beat: il loro impatto live, infatti, malgrado le sonorità sulfuree, è decisamente hardcore, nel senso più esteso del termine, fra carisma, coinvolgimento e sudore. Di tutte le canzoni, però, emergono decisamente l’incredibile, multicolore, nei suoi saliscendi emozionali, “Apnea” e il maestoso singolo “Non è Vivo”. Unici nei: pubblico più statico che mai, suoni che privilegiano maggiormente la voce (tra l’altro, tanto di cappello al frontman S, ancora più furente ed evocativo in sede live) e la batteria, a discapito dei numerosi, quanto particolari, incastri ed incroci chitarristici tipici della band. Per il resto, nulla da dire: benché openers, senza dubbio i migliori della serata.
Grime
Nel momento, invece, in cui i quattro doomsters triestini salgono sul palco dello United, il locale è decisamente più gremito: il pubblico, infatti, di lì a poco s’accingerà a seguire il loro live con un’attenzione a dir poco ipnotica. Ed è proprio, per l’appunto, questa sorta di trance guidata dall’heavy music che pare vogliano predicare i Grime: la ricerca della ripetizione spasmodica, dell’ossessività, dell’eterno ritorno roboante di suoni giganteschi e distorti ottengono risultati che non lasciano prigionieri, soprattutto per i fans più genuini del genere (tutt’altro che cospicui, visto l’affollamento della zona live). Avevo visto dal vivo i nostri qualche tempo fa, in quel di Milano, in occasione della terza esibizione in Italia dei leggendari Eyehategod: durante quella sera tirava decisamente aria di festa e, complice qualche (ehm…) birra in più, m’ero trovato a ciondolare, più esaltato che mai, di fronte al set dei triestini, trasportato dalle onde sonore della band che letteralmente smuovevano l’aria del locale in cui si stavano esibendo. Allo United ho avuto conferma che tali volumi assassini non erano una casualità della loro performance milanese, quanto un qualcosa di piuttosto caro ai nostri eroi amanti della cacofonia a 2 bpm; purtroppo per loro, però, la sera del 28 settembre, non ero altrettanto brillo come un mese e mezzo prima e sostenere un set con quei volumi di chitarra da sangue colante dalle orecchie è stata un’impresa decisamente tosta. Nel complesso, con una certa lucidità, sono riuscito a godermi la loro hit “Charon”; per il resto, ho provato decisamente maggiore piacere a fare mio il cd (quasi introvabile in Italia!) con la discografia degli XbrainiaX (se non li conoscete, ascoltateli!) in una distro presente nel locale. Amen.
Tons
Come ho anticipato nell’introduzione di questo live report, i Tons hanno attirato la mia attenzione non solo per l’onere/onore di sostituire una delle migliori band estreme d’Italia, ma anche per qualcosa di più che ora m’accingo a svelare. Gli amanti più nerd, o semplicemente, più âgé, di certa musica estrema, sicuramente ricorderanno alcune delle band più attive dell’ondata HCxTO fra fine anni ’90 e primi anni ’00, i Redrum ed i Lama Tematica; i primi capaci di coniugare un rock saturo e pesante con la violenza punk/hc tipica della Torino dei “tempi d’oro”, stra-influenzati dai Negazione; i secondi, personalmente i miei preferiti, erano un quartetto che sapientemente miscelava grind primitivo, dissonanze e rock’n’roll, una sorta di punto d’incontro fra primissimi Napalm Death, Crunch e Le Scrawl. Erano almeno sei anni che, d’entrambe le band, s’erano perse le tracce: vedere in questo doom power-trio due membri provenienti da suddetti gruppi m’ha sinceramente emozionato, alimentando parecchio la mia curiosità. Palese, ovviamente, il cambio di rotta: dopo un decennio di ‘tupa-tupa’, i nostri, evidentemente, hanno avvertito l’esigenza di frenare il tiro, pur senza perdere la botta, ed eccoli, dopo anni di militanza nell’hardcore più frenetico, a formare questi Tons. Per me erano un’assoluta novità, ma, a quanto pare, a Torino, i nostri sono già piccole istituzioni: infatti, il loro show è stato decisamente il più seguito e partecipato del lotto e, nel pubblico, spuntavano parecchi over-30 ex-fans delle band originarie. Con un album fuori per la Escape from Today, i Tons hanno saputo coinvolgere i presenti con un doom sì ossessivo e pachidermico, ma capace di digressioni più stoner e sludge in grado di rendere più godibile e meno cacofonica la live performance: dal vivo, l’impressione è quella di sentire gli Eyehategod più depressi, uniti al grezzume dei Cathedral di Forest of Equilibrium, ma mi riservo di sentire il loro full length, Musineè Doom Session Volume 1, prima di dare giudizi più specifici. Concerto onesto, forse non brillante, ma da dignitosi headliners, nonostante l’improvviso ruolo di “tappabuchi”. Questa volta è il caso di dirlo: “lo spirito continua”!