(Autoproduzione, 2011)
1 – Walking On the Last Mile
2 – You Can’t See My Face
3 – Never Look Back
4 – iGod
5 – Anger
6 – Jarhead
7 – The Mad
8 – Chaos Let Be My World
9 – A.I.M
Groove in ogni dove per questi Trodden Shame! Il primo album sulla lunga distanza dei cinque (distaccati fra il Lazio, il Molise e la Puglia) esce in un periodo di sostanziale secca per il thrash italiano. Fatta esclusione per qualche exploit (si legga Neurasthenia) e/o qualche come-back di vecchie stelle del thrash italico del passato, la scena è sostanzialmente ferma, relegata all’underground e surclassata dal mainstream di giovani musicisti che hanno da tempo abbandonato il sudore e la velocità (anche un po’ “ignorante”, per carità) di band quali i Kreator in favore di ben altri lidi. Gli abiti restano attillati, ma il messaggio che portano – e con esso la forma – non è nemmeno vagamente simile. L’album dei Trodden Shame, per fortuna, non segue questo trend e preferisce rimanere ancorato a quanto era stato prodotto in precedenza (con i due demo Anger e Reminds, targati 2007 e 2008, ma anche con quel Jarhead che qualche anno fa fece ben sperare), senza per questo risultare datato.
Registrato ai 16th Cellar Studio sotto la guida di Stefano Morabito, se ne riconoscono subito le chitarre possenti e monolitiche che, come in una sorta di scalata al vertice, vedono esprimere la loro massima compattezza nella conclusiva “A.I.M.”. Prima di questa, tuttavia, ci sono altre sette tracce (più intro) a loro modo eclettiche e parzialmente differenti. Si passa così dai numerosi assoli disseminati lungo tutta la durata del disco alle uniche due costanti che vengono mantenute: da un lato una forte tendenza a piazzare riff groove che riprendono fortemente i primi Pantera (si presti attenzione a “Never Look Back” – peraltro già presente in Jarhead – per un’idea generale della cosa) e, dall’altro, un cantato spesso monocorde che si fa amare e odiare allo stesso tempo. La sostanziale mancanza di acuti (più che presenti, invece, nel caso dei già citati Neurasthenia) e la fossilizzazione sui territori a metà fra il growling e lo screaming (nel senso più old-school del termine, si intende) talvolta stufa un po’. Per il resto, un’ottima produzione in studio e la solita straordinaria cura dell’aspetto grafico mettono “la toppa” ai difetti pur minimi del disco.
In conclusione, un buon lavoro per la band, con l’augurio di trovare al più presto una label in grado di soddisfare le esigenze di distribuzione di questo disco.
Voto: 7