(Willowtip Records, 2011)
1. Burning Skies;
2. Dead Oceans;
3. Cold Becoming;
4. Beneath;
5. The Hollow Idols;
6. Omens;
7. The Destroyers Of All
Ritornano i neozelandesi Ulcerate a distanza di due anni da quel Everything is Fire che li fece conoscere ad un numero molto maggiore di persone, apportando anche qualche cambiamento notevole nella scrittura dei brani pur rimanendo riconoscibilissimi sin dal primo ascolto. The Destroyers of All porta sul groppone il peso della precedente uscita che li aveva consacrati come uno dei pochi gruppi capaci di coniugare violenza, tecnica ed atmosfera senza appesantire troppo la struttura dei pezzi, pur peccando talvolta in prolissità. In tutto ciò ovviamente non può mancare una menzione d’onore al padrone della sezione ritmica, il batterista Jamie Saint Merat, fautore di uno stile personalissimo basato su giochi di rullate, doppia cassa e tocchi di fino vicini al jazz.
Per gli amanti di questo batterista niente paura, il livello tecnico si è ulteriormente innalzato e le soluzioni adottate diventano sempre più particolari anche nell’uso del blast beat e, se in Everything is Fire tutto questo era ben calibrato, nel nuovo album pare che tutto sia incentrato sulla performance dietro le pelli di Merat: pur apportando coraggiosi cambiamenti nel riffing di chitarra, orientato verso lidi decisamente più post metal (un po’ Cult Of Luna se proprio bisogna citare un nome), tutto sembra essere in secondo piano rispetto alle partiture di batteria. Ed è un peccato perché alcuni giri di chitarra sono potenzialmente splendidi. Si prenda ad esempio la parte iniziale di “Dead Oceans”, uno dei pezzi migliori: ciò che di buono si riesce a percepire viene soffocato totalmente dall’abuso di doppia cassa e da continui cambi e variazioni di tempo; fortunatamente nella parte centrale c’è un po’ di tregua ed è possibile godere appieno anche dei restanti strumenti. Si consideri anche “Cold Becoming”, come si fa a resistere ad un blast beat finalmente pari e senza nessun orpello da conservatorio? Ne giova tutta la canzone, riuscendo stavolta a creare qualcosa di trascinante in tutto e per tutto, verso un’apertura finale pienamente sfruttata e coinvolgente al massimo.
Purtroppo questo è il vero difetto dell’album, più che un drumming particolare sembra puro sfoggio di tecnica e tutto l’impianto ne risente. La cosiddetta “prova del tempo” non viene superata, in questo marasma di splash di varia grandezza, accelerazioni e controtempi di doppia cassa, paradiddles giocati fra ride e altri componenti della batteria, si perde il ricordo di ciò che di buono è presente; chi ascolta non è in grado di ricordare un singolo passaggio dell’album perché frastornato e intontito da cotanta bravura. Un’eccezione a tutto ciò è la conclusiva “The Destroyers of All” che, pur rispecchiando lo stile e i difetti dell’intero album, riesce a mantenere una soglia di attenzione altissima per tutti i dieci minuti della sua durata: qui le nuove influenze vanno a mescolarsi perfettamente, bilanciando le parti più strettamente metal (gli ultimi Deathspell Omega sembrano far capolino in più punti) a quelle più dissonanti e post- in maniera ottimale, lasciando in chi ascolta, nello scemare che porta alla conclusione, un senso di vuoto difficilmente colmabile. Da sottolineare anche l’ottima prova del cantante/bassista Paul Kelland, sempre presente con il suo growl nei momenti più intensi e trascinanti del disco e, forse, l’unico elemento che può essere ancora legato all’etichetta “death metal”, genere che in questa uscita è stato decisamente messo da parte per andare a sviscerare più in profondità elementi in parte già presenti nel sound degli Ulcerate e qui sviluppati al meglio.
Se non fosse per l’eccessivo sfoggio di tecnica del batterista, questo album sarebbe stato decisamente meglio; più coinvolgente e sicuramente più omogeneo non solo nelle influenze, ma anche fra i singoli strumenti. Dopo svariati ascolti e dopo aver lasciato passare un po’ di tempo per riascoltarlo questo difetto sembra aumentare, farsi notare sempre più, tanto da desiderare di poter ascoltare il disco senza la traccia di batteria. Sinceramente, se avessi voluto sentire dieci diverse variazioni su uno stesso tempo, avrei cercato direttamente un dvd di coordinazione di Thomas Lang.
7
Amen, opinioni diverse! 🙂
Se permetti ti rispondo ai vari punti senza seguirne l’ordine, per comodità mia più che altro. Allora:
3) Sei mesi forse non sono molti effettivamente, ma se in quei sei mesi non ho mai avuto quella pulce nell’orecchio che mi spingesse a riascoltare l’album vuol dire che un motivo c’è. In ogni caso l’ho riascoltato più e più volte per fare la recensione e l’esaltazione che provai all’inizio era inevitabilmente scemata.
4) Bè, il voto penso vada dato a seconda dei gusti di chi recensisce. Se bisogna stare a guardare gli intenti, l’originalità, il rapporto a tutto il resto si finisce in un circolo vizioso senza fine e il voto diventa relativo e non più personale.
1) Io non considero death metal un album solo perché presenta tappeti di doppia cassa o partiture in blast beat, ci mancherebbe pure. Le chitarre possono avere ancora qualcosa di death metal, ma molto poco per me. Ultima cosa: il discorso di elogiare un elemento che non è “evoluto” per me è assurdo; sarebbe come dire che la il cantato nel nuovo album degli Autopsy non va bene perché è quasi lo stesso di quindici anni fa.
2) “Perchè rovinare musica così interessante con partiture dritte, abusate e prive di significato? ” Direi di avere risposto a questo sopra nel punto 1.
Discorso sensibilità: il drumming complesso può piacermi ma fino a un certo punto. Qui è tutto puntato sulla bravura del batterista, egoisticamente sbattuto in primissimo piano quasi a coprire le (bellissime, ripeto) partiture di chitarra e non penso che sia stato un errore nel mastering o nella produzione, visto che si parla degli Ulcerate. Anche da questo deriva il voto.
Non sono molto d’accordo con ciò che è stato scritto su diversi punti:
1) Dire che la voce è l’unico elemento death metal presente nell’album non ha molto senso (ed elogiarla pure non ha senso dato che è l’unica cosa rimasta banale , fastidiosa e non evoluta nel loro sound), dato che vi sono blast, tappeti di doppio, e anche le chitarre comunque riffeggiano ancora caoticamente.. semplicemente hanno espanso la loro gamma di suoni/atmosfere (meno di quanto in realtà io sperassi), non cambiando quello che facevano in Everything is Fire.
2) Sinceramente se Everything is Fire ti è piaciuto e The Destroyers no, non hai ben capito il significato e il feel che deve dare la batteria nell’insieme (caotica ma che allo stesso tempo dà sfumature su ciò che stanno suonando le chitarre). Non stiamo parlando di riff death metal che devono avere fondamentalmente “tiro” e basta, ma musica estremamente più complessa sia a livello esecutivo sia a livello “emotivo”, quindi dire che “un blast dritto gioverebbe la canzone” è fuori discussione..Perchè rovinare musica così interessante con partiture dritte, abusate e prive di significato? Jamie è sicuramente uno dei batteristi migliori al mondo sia come stile che tecnica, ma dire che quest’album pecca perchè troppo “tecnico” non ha molto senso dato che Everything is Fire lo era molto di più. Più che altro io mi ricordo molti dei passaggi di batteria.. si vede (assolutamente senza offesa o senso di superiorità) che non hai la sensibilità per apprezzare un drumming così complesso e capirne il significato, e non vedo perchè esso nel totale nuoce l’ascolto dell’album. La batteria è uno dei fondamentali motivi per cui gli Ulcerate sono gli Ulcerate.
3) Dire che l’album non ha superato “la prova del tempo” 6 mesi dopo che è uscito non ha molto senso.
4) il voto, seppur una decisione personale, è davvero troppo basso per un album così maestoso e originale, sia come sonorità sia come intenti, se rapportato alla musica che esce oggi..vedo tante di quelle band di merda che fanno le stesse cose beccarsi voti molto più alti quando in realtà andrebbero cassati all’istante.