(Kscope Music, 2012)
1. Bracelets of Fingers (The Pretty Things);
2. Everybody’s Been Burned (The Byrds);
3. The Trap (Bonniwell’s Music Machine);
4. In the Past (The Chocolate Watchband);
5. Today (Jefferson Airplane);
6. Can You Travel in the Dark Alone (Gandalf);
7. I Had Too Much to Dream Last Night (The Electric Prunes);
8. Street Song (13th Floor Elevators);
9. 66-5-4-3-2-1 (The Troggs);
10. Dark Is the Bark (The Left Banke);
11. Magic Hollow (The Beau Brummels);
12. Soon There Will Be Thunder (Common People);
13. Velvet Sunsets (Music Emporium);
14. Lament of the Astral Cowboy (Curt Boettcher);
15. I Can See the Light (Les Fleur De Lys);
16. Where Is Yesterday (The United States of America)
Gli Ulver ci hanno abituati da anni a repentini e potenzialmente pericolosi cambiamenti nel proprio sound, talvolta virando verso soluzioni più jazz e trip hop (Perdition City), altre volte verso un minimalismo e un’atmosfera quasi ambient (Shadows Of The Sun), senza poi volerne scomodare la storia sin dagli inizi, ma un album interamente di cover risulta davvero spiazzante. Teoricamente dovevamo aspettarci un’operazione del genere, visto che era nell’aria già da qualche tempo l’ipotesi di pubblicare qualche cover che si riferisse agli anni ’60; inoltre i nostri hanno già avuto modo di omaggiare i Black Sabbath in Shadows Of The Sun e i Pink Floyd con il rifacimento di “Another Brick In The Wall pt. 1”.
L’obiettivo, stando al blog di chi ha curato la parte grafica, era quello di recuperare un certo “gusto grafico” del periodo per mettere in risalto il contrasto fra il motto Hippie del flower power e le atrocità di una guerra tristemente famosa come quella in Vietnam, il tutto ovviamente condito e farcito dalla reinterpretazione dei norvegesi di brani più o meno famosi degli anni ’60. Che gli Ulver sapessero suonare già lo sapevamo, che Garm sapesse cantare divinamente pure, il risultato a livello “tecnico/compositivo” è quindi praticamente scontato: i brani sono stati ri-arrangiati ottimamente, le tracce originarie sono state seguite quasi scolasticamente ma inserendo qualche elemento in più o mettendo l’accento su alcuni passaggi invece che su altri, risultando più che godibili, talvolta raggiungendo veri e propri picchi come nel caso della riuscitissima “I Had Too Much To Dream Last Night” dei The Electric Prunes (disponibile già da qualche tempo sul sito del gruppo) o ancora di “Today” dei ben più famosi Jefferson Airplane. Presente è anche quel brano che tanti ha scandalizzato (me compreso) nell’ultimo tour degli Ulver, quella cover dei The Troggs che ha tremendamente stonato dal vivo ma che qui viene proposta in un contesto decisamente più consono e con spunti che la rendono già più accettabile.
Questo è il parere di un profano, ascoltare i brani originari è d’obbligo per capire come abbiano imbastito il loro lavoro i norvegesi, ma chi è più avvezzo del sottoscritto a certe sonorità potrebbe comprensibilmente considerare quest’operazione tutt’altro che riuscita. Effettivamente i nostri non si sono certo sforzati per rendere le proprie rivisitazioni più personali, come è successo per le già citate “Solitude” o “Another Brick In The Wall pt.1”, se non mettendo in risalto la caldissima voce di Garm e poco altro; detto questo ci pare che Childhood’s End non sia un’uscita da buttare a patto, però, di considerarla come mero divertissement e come tale non ci si può arrischiare ad incensarla o a bocciarla totalmente.
6.0