(Solid State Records, 2012)
1. Sunburnt
2. Unsound
3. In Division
4. Catch Myself Catching Myself
5. Paper Lung
6. Desperate Times, Desperate Measures
7. Too Bright To See, Too Loud To Hear
8. In Regards To Myself
9. You’re Ever So Inviting
10. Writing On The Walls
11. A Boy Brushed Red Living In Black And White
12. Reinventing Your Exit
13. It’s Dangerous Business Walking Out Your Front Door
14. I’ve Got Ten Friends And A Crowbar That Says You Ain’t Gonna Do Jack
15. When The Sun Sleeps
16. Cries Of The Past
17. Heart Of Stone
Lo scioglimento degli Underøath non è stata una grossa sorpresa. Dopo l’abbandono dello storico batterista e seconda voce Aaron Gillespie era già chiaro che il combo americano, esponente più importante dello screamo made in USA anni Duemila, avrebbe avuto vita breve e l’ultimo disco Ø (Disambiguation) se si considera la situazione del gruppo può essere considerato un mezzo miracolo, oltre che un dignitosissimo canto del cigno. Non stupisce dunque neanche questa raccolta, dal semplice titolo Anthology 1999 – 2013, uscita per la fedele Solid State Records; quel che però colpisce piacevolmente è la cura che la band ha riposto nella compilazione della tracklist.
Il disco infatti offre una panoramica piuttosto completa della discografia degli Underoath: partendo da due inediti, in realtà non molto interessanti, la band ci accompagna indietro nel tempo riproponendoci due o tre estratti da ogni album, in ordine cronologico inverso. Troviamo dunque le prime tre tracce di Ø (Disambiguation), nelle quali c’è il solo Spencer Chamberlain ad occuparsi di tutte le parti vocali, peraltro con risultati davvero non disprezzabili anche nel pulito; poi ci sono i due brani più ruffiani di Lost In The Sound Of Separation, che già ai tempi della sua uscita era facilmente catalogabile come il Lato B del suo predecessore; viene poi finalmente omaggiato Define The Great Line, il vero capolavoro della band nonché uno dei dischi in assoluto migliori usciti nel decennio scorso da quella scena metalcore / screamo che era tanto fiorente in quel periodo, ma che si è dimenticata davvero alla svelta degli Underoath. Più ampio spazio viene lasciato a They’re Only Chasing Safety, l’album con cui la band fece il botto commerciale imponendosi come un’importante realtà screamo internazionale; Gillespie e soci cercheranno di scrollarsi di dosso questa etichetta col monumentale e oscuro disco seguente, che si basava su un post-hardcore cupo e tagliente, ma è innegabile che senza singoloni come “Reinventing Your Exit” gli Underoath non sarebbero mai diventati quello che sono stati.
Vengono ricordati molto rapidamente anche i lavori con Dallas Taylor alla voce (si, proprio quello che adesso se la spassa con i Maylene & The Sons Of Disaster!): c’è il bel singolo “When The Sun Sleep” da The Changing Of Times, album che fu il vero spartiacque nella carriera degli Underoath, e pure la titletrack di Cries Of The Past, discone death / metalcore oscuro e piuttosto originale che nel 2000, quando uscì, suonava come qualcosa di davvero notevole ma che adesso è sicuramente sconosciuto ai più. Chiude “Heart Of Stone” da Act Of Depression, e può sembrare poco un solo brano per ognuno dei primi album ma in verità non era affatto scontato che gli Underoath ripescassero anche così indietro nel proprio passato, visto che la stragrande maggioranza della gente li conosce solo per i loro album più famosi.
Operazioni come queste spesso sono trovate commerciali poco curate, ma Anthology 1999 – 2013 è una retrospettiva davvero ben fatta, che può risultare interessante anche e soprattutto per chi non conosce questa band che ha fatto la storia recente di un certo genere musicale. Noi conserveremo sempre un bel ricordo degli Underoath (più su disco che dal vivo, a dire il vero), riascoltando sempre con piacere quel capolavoro che risponde al nome di Define The Great Line.
6.0