(Century Media Records, 2013)
1. Night Vision;
2. De Profundis;
3. Black Flames March;
4. All That May Bleed;
5. The Child Must Die;
6. They Rode On;
7. Sleepless Evil;
8. The Wild Hunt;
9. Outlaw;
10. Ignem Veni Mittere;
11. Holocaust Dawn
I Watain sono sulla cresta dell’onda all’incirca da una decade, forti di un letale mix fra Mayhem e Dissection (spesso più cloni dei secondi a dirla tutta) che, oltre a proiettarli direttamente nella storia recente del black metal, li ha elevati a rango di gruppo culto per chi è appassionato di certe sonorità. Da sempre portabandiera di un preciso modo di intendere il genere, i tre svedesi hanno racimolato nel tempo diversi riconoscimenti ufficiali anche a livello nazionale (un grammy nel 2011) e di pubblico (tour con i fenomeni del momento Ghost B.C.), sapendo però rinnovare il proprio sound anche a costo di perdere i fan più attaccati a Casus Luciferi o Rabid Death’s Curse.
The Wild Hunt sicuramente segnerà lo spartiacque fra chi continuerà a seguire i Watain e chi li abbandonerà definitivamente, magari anche perché non soddisfatto della svolta intrapresa con Sworn To The Dark e Lawless Darkness. Il discorso di quest’ultimo disco si pone in continuità con le due uscite appena citate (la prima probabilmente la migliore in assoluto del gruppo, la seconda invece quella più debole e meno riuscita), andando a parare in soluzioni non propriamente ortodosse che scalderanno la critica in breve tempo. In generale The Wild Hunt è un’uscita piena di alti e bassi, questi ultimi situati soprattutto nella prima parte del disco (dove spesso sembra di assistere ad un manuale sul “suonare come i Dissection”: “De Profundis”, “Night Vision” o il non proprio esaltante singolo “All That May Bleed”); tutt’altro discorso invece per quanto riguarda brani come “Outlaw”, la violentissima “Sleepless Evil” e soprattutto “Holocaust Dawn”, dove finalmente ricompaiono anche influenze di mayhemiana memoria. Un discorso a parte meritano “The Wild Hunt”, poco più che una semplice ballad, e “They Rode On” che forse sarà ricordata come l’episodio più atipico di tutta la produzione dei Watain: che più che una ballata nello stile della titletrack, sembra una litania neo-folk (Death In June?) sia per l’uso di chitarre acustiche che della voce. Alla fine, contro ogni aspettativa, “They Rode On” si rivela sia come il brano più orecchiabile di The Wild Hunt, sia come quello meglio riuscito, anche se la cosa non andrà per nulla giù ai più defender dei seguaci degli svedesi.
The Wild Hunt non convince appieno, i difetti che potevano essere contestati ai Watain nei ultimi tempi qui risultano amplificati e forse non bastano nemmeno gli episodi più riusciti a risollevare un disco che pare troppo melodico e meno ferale rispetto a quello che ci si aspetta da un’uscita del genere. L’unico punto fermo è la classica frase “lo ami o lo odi”, e siamo certi che la maggior parte degli appassionati propenderà per la seconda opzione.
6.0