(Spread the Metal, 2013)
1. Lost All Humanity
2. Schweinehund
3. Alai
4. Thy Kingdom Will Come
5. Born Headless
6. Deprived Childhood
7. Makot
8. Rebirth of Destruction
9. Show Some Respect for the Dead
10. The Rage Within
11. Release Through Torture
12. Departure
Un gradito ritorno dalla Terra Santa: avevo scoperto i WhoreXcore nel 2006, quando era appena uscito Protection, un esordio d’una band interessante che, di curioso, non aveva solamente la provenienza – Israele, per quanto riguarda death metal e grind, non è proprio la California dei primi anni ’00 o l’Inghilterra dei gloriosi 80s –, ma anche la ‘sensazione’ del fatto che, all’interno, erano presenti l’allora chitarrista degli Aborted, Evan Segal, e l’instancabile cantante (ai tempi era zeppo di side projects) degli stessi, Svencho. Non solo: era anche una band che spaccava di brutto, con il suo fresco mix di death-grind statunitense di scuola Cannibal Corpse/Exhumed e post-core figlio dei Converge di Jane Doe, fra velocissimi blastbeats, tempi storti, aggressioni vocali scream + growl + superguttural (da sempre la band ha goduto della presenza di due frontmen), dissonanze, creatività in pezzi dall’incredibile immediatezza, attorno ai due minuti. Un vero peccato che la natura di side project del combo avesse reso quasi impossibile l’attività live dello stesso, anche quando, con l’EP The Mundane Corruption, un nuovo moniker, They:Swarm, e sonorità più à la page, nel 2008, i Nostri avevano provato a ritornare… per poi, a quanto ne so, sparire pressoché nel nulla.
Scevri dai membri condivisi con gli Aborted, però, grazie all’etichetta canadese Spread the Metal, i WhoreXcore sono ritornati, riportando in auge sonorità decisamente più vicine a Protection, sfornando il nuovissmo Headless: il growl multiforme di Sven è stato rimpiazzato dal timbro marcio, profondo ma scandito di tal Zion Mizrachi, mentre lo screaming di Conan, aggressivo e di derivazione molto hc, è sempre ad ottimi livelli; le chitarre sono tornate belle sature (a volte pure troppo, a discapito della definizione del riffing, rendendo, per altro, pressoché inudibile il basso); la batteria è un discreto compromesso fra suoni naturali e roba triggerata ultra-patinata, col neo d’avere, talora, il rullante un po’ ‘dietro’.
Meno schizzato, tecnico ed originale chitarristicamente rispetto a Protection, Headless è comunque un bel disco e, come già detto, un gradito ritorno, che ha la sua forza nel rievocare le sonorità d’una band belga di fine anni Novanta (un caso o quanto resta del retaggio Aborted?) ‘di culto’, i grandissimi Deformity, i quali, nel 2002, avevano sfornato Superior, un capolavoro d’intelligenza compositiva e musicale, capace d’unire brutal, grind ed hardcore evoluto, per un ibrido di sottogeneri davvero unico (ascoltare per credere!), senza, però, la stessa classe ed unicità. La pecca di Headless è quella, pur avendo ottimi riferimenti ed influenze, d’essere troppo piatto, dando l’idea di pezzi, talora, troppo simili l’uno con l’altro. Quando, infatti, gli israeliani sanno giocarsela bene, ecco buone canzoni come “Schweinehund” (bellissimi i breaks fra Cannibal Corpse e Hatebreed di Perseverance, in contrasto col no stop blastbeat che sorregge la canzone), “Thy Kingdom Will Come” (un pazzesco ibrido fra Nasum e Morbid Angel) e “Show Some Respect for the Dead” (la song più rappresentativa di quanto siano oggi i ‘nuovi’ WhoreXcore), nonché una perla d’originalità come “Alai” (forse il pezzo migliore del lotto, decisamente diverso dagli altri: sarò un pazzo, ma c’ho sentito parecchia roba vicinissima a Magnificat degli Spite Extreme Wing, se non fosse stato per gli inserti gutturali!); quando, invece, i Nostri percorrono sentieri già battuti, il sentore di ‘già sentito’ fibrilla e non poco. Addirittura, in certi episodi, s’ha proprio l’idea di pezzi filler, come il prolisso stacco slamming/death-coreggiante di “Release Through Torture” e la strumentale “Departure”, la quale, benché validi riffs black-death vadano piuttosto bene a braccetto con altri post-rock à la Mogwai prima maniera (l’avevano già fatto i Deformity…), non ha troppo da dire a chi ascolta.
Headless, tutto sommato, è un buon disco: se amate il genere, vi potrà divertire, farvi fare qualche scapocciata in cameretta davanti allo stereo, esaltarvi quando il riffing epico di scuola Deformity emerge ma, difficilmente, vi farà… perdere la testa.
7.0