(Southern Lord, 2011)
1. Thuja Magus Imperium;
2. Permanent Changes in Consciousness;
3. Subterranean Initiation;
4. Rainbow Illness;
5. Woodland Cathedral;
6. Astral Blood;
7. Prayer of Transformation
Wolves In The Throne Room, un nome che ormai chiunque sia dedito all’ascolto del black metal meno ortodosso conosce e sicuramente apprezza. Attivi sin dal 2004, i fratelli Weaver iniziarono a ricevere consensi sin dalla pubblicazione del primo album, Diadems Of 12 Stars, che in sé effettivamente non era il massimo, pur mostrando alcuni spunti e passaggi davvero notevoli; la consacrazione definitiva avvenne l’anno successivo col capolavoro indiscusso (finora) Two Hunters, diventato col passare del tempo una pietra miliare per chi è avvezzo all’ascolto di un certo tipo di sonorità. Da lì in poi hanno iniziato a svilupparsi diversi emuli, alcuni più, altri meno riusciti, altri ancora che hanno superato i maestri (gli A Forest Of Stars di The Corpse Of Rebirth, ad esempio), ma i Wolves In The Throne Room sono ormai un caposaldo: caposaldo che purtroppo sembrava perdere colpi un paio di anni fa con Black Cascade, un’uscita decisamente grezza per i loro standard, con riffs non proprio memorabili.
Ora il gruppo sembra decisamente voler riprendersi lo scettro perduto, e ci riesce senza troppi problemi. Celestial Lineage è l’album di cui si vociferava da un po’ di tempo, quello che in molti attendevano davvero con ansia, che altri invece pensavano potesse affossare il nome dei Wolves In The Throne Room dopo il mezzo flop dell’ultimo full lenght; invece ci ritroviamo davanti ad un’opera davvero trascinante, piena di influenze e di ottimi spunti che, per certi versi, rimanda a Two Hunters. “Thuja Magus Imperium”, l’apripista, mette subito in mostra il ritorno di Jessica Kenny e della sua bellissima e suadente voce, anche se il suo meglio lo darà in un brano successivo, per proseguire con un attacco pienamente black metal, in cui si fondono vaghi richiami ai Darkspace (al minuto 4:32 è palese) e una struggente vena malinconica che toccherà il suo apice con le due canzoni in chiusura dell’album; il tutto con un retrogusto Emperor che fa sempre bene. Quello che è lampante proseguendo nell’ascolto è l’aggressività insita nei brani che, se in Black Cascade era forse esagerata, qui ritrova la sua dimensione secondaria andandosi ad intrecciare spesso e volentieri con le trame quasi spaziali di synth (“Subterranean Initiation”) o con le influenze vicine al Burzum di Filosofem di “Astral Blood”. Ciò che era apparso in un comunicato prima dell’uscita ufficiale, “but there is a stronger thread of Popul Vuh-inspired underworld synthscapes“, pare confermato senza riserve: sia in “Thuja Magus Imperium” che in “Subterranean Initiation”, l’influenza dell’autore tedesco fa capolino più volte senza però scendere nel plagio. “Woodland Cathedral” è in questo senso però la vera sorpresa: andando a pescare dalla kosmische musik qua e là, si avvale della prestazione della migliore Jessica Kenny che qui pare ispirarsi alla Nico di Desertshore per intensità e senso di straniamento, rendendo una canzone di soli cinque minuti una litania che si vorrebbe non finisse mai. Da qui si arriva verso la conclusione di Celestial Lineage con la già citata “Astral Blood” che dopo un incedere burzumiano si apre a qualche passaggio acustico dal sapore nettamente “naturalistico”, quasi alla primi October Falls, seguito da una ripartenza che potrebbe uscire direttamente dagli A Forest Of Stars verso un finale in pieno drammatico stile Wolves In The Throne Room. Ci sarebbe anche “Prayer of Transformation” che qui non è stata considerata, assieme ad altri due intermezzi strumentali, ma smontare pezzo per pezzo tutto il disco non gli renderebbe giustizia
Lo scettro, quindi, ritorna ai Wolves In The Throne Room con un album che sale sempre più con gli ascolti: forse non potrà intaccare la bellezza e la novità di Two Hunters, ma sicuramente gli si avvicina di molto. Questo disco farà la felicità di chi è avvezzo a spaziare un po’ fra i generi che sono esplosi ultimamente (post core e post rock sicuramente), ma anche di chi è abituato ad ascoltare un certo tipo di black metal, in particolare quello portato avanti dai gruppi segnalati durante la recensione. Perfetto per un lungo, lunghissimo, crepuscolo autunnale.
Voto: 8,5.