(Artemisia Records, 2014)
1. Turning Ever Towards the Sun
2. Initiation at Neudeg Alm
3. Bridge of Leaves
4. Celestite Mirror
5. Sleeping Golden Storm
Una band come i Wolves in the Throne Room non ha certo bisogno di presentazioni, il loro è un nome solenne e altisonante che viene quasi venerato dalla scena: i fratelli Weaver sono senza ombra di dubbio i portavoce indiscussi del cosiddetto cascadian black metal (il black metal della catena delle Cascades negli Stati Uniti nord occidentali). Già da tempo in rete girava voce che questa nuova opera del combo statunitense sarebbe stata decisamente distante dal loro precedente sound: niente voce, niente basso, niente batteria né percussioni, ma solo synth e qualche accenno di chitarra, in parole povere un disco ambient in tutto e per tutto. Inutile dire che questa notizia ha immediatamente creato curiosità e scetticismo intorno a Celestite ben prima della sua uscita, ma ogni polemica è superflua, quello che conta alla fin fine è il risultato, ma qual è il risultato in quest’album?
Chi negli anni ha imparato a conoscere ed amare i Wolves in the Throne Room sa bene che i loro punti di forza sono sempre stati due: in primis le ritmiche costruite da Aaron dietro le pelli, sempre di gran gusto e splendidamente inserite nel cotesto, e in secondo luogo i testi intelligenti, sognanti e impegnati, capaci di trasportare in un mondo fatto di natura, spiritualità e atmosfere impalpabili. Tutto questo in Celestite ovviamente non è più minimamente presente, quindi cosa rimane? Quello che resta sono cinque composizioni interamente basate sull’uso dei synth in cui di tanto in tanto fa capolino la chitarra elettrica, la quale riporta vagamente alla mente alcuni brani dei SunnO))). Sebbene nei primissimi ascolti l’album risulta essere mortalmente noioso e incredibilmente privo di contenuti, investendo un po’ più di tempo per decifrarlo si nota un’ottima abilità compositiva, un sapiente gusto nella scelta dei suoni e una produzione (affidata come sempre a Randall Dunn) estremamente curata. Insomma i fratelli Weaver non hanno perso il senno, sanno quello che fanno anche alle prese con un sound che ha ben poco a che vedere con quel che la band ha proposto in passato, tuttavia nonostante l’esperienza dei nostri, l’ascolto risulta comunque piuttosto piatto, pregno di momenti morti e decisamente carente di emozionalità.
Il brano migliore e maggiormente rappresentativo dell’opera è “Celestite Mirror”, il quale può fungere da campione per un ascoltatore curioso. L’evoluzione musicale è una cosa sempre estremamente importante, se non addirittura fondamentale, ma non sempre gli esperimenti vanno a buon fine. A conti fatti Celestite è un album ben fatto da musicisti con un’indubbia esperienza, ma che ha davvero poco da comunicare e che non lascia minimamente il segno, consigliato solo agli amanti sfegatati del genere.
6.0