(Valse Sinistre Productions, 2012)
1. 19 Stars and the Sweet Smell of Cinnamon
2. Alissa Loves Perfume
3. If Only the Seas Were Merciful
4. Lullabye for Ian
5. Pale Blue
6. You Never Listened to the Birds
Se nella fine degli anni settanta il punk costituiva, oltre che un genere, un autentico stile di vita come forma di ribellione e di rifiuto nei confronti di generi maggiormente elaborati e virtuosi, il nuovo millennio propone stili in parte nuovi, in parte ripescati come il post rock e lo shoegaze. La differenza fondamentale risiede nel fatto che tali proposte, decisamente più attuali, non costuiscano affatto una forma di riscatto sociale, a volte fortemente politicizzata, ma che presentino piuttosto una mirata ed ossessiva attenzione al fattore più importante rappresentato dalla ricerca di note imprimibili nella memoria, arrangiamenti giusti e soprattutto di sonorità appropriate.
E’ da questa riflessione che si possono ritrovare, in proposte come quella degli Hypomanie, parallelismi in generi come il blues o il rock psichedelico, all’apparenza lontani ma dannatamente vicini nell’approccio stilistico. Tali similitudini sono dettate dal fatto che si stia come riscontrando una tendenza nella ricerca del poco ma buono, delle singole note suonate col cuore piuttosto che col cervello, del suono giusto applicato ad un riff accattivante piuttosto che nella scala infinita finalizzata ad uno sterile ed istantaneo autocompiacimento.
Ebbene si, Selwin, unico membro della band Hypomanie, suona, al pari di band come gli Alcest, con cuore ed anima, mostrando un livello di espressività notevole piuttosto che bravura tecnica fine a se stessa e lo fa offrendo un post rock strumentale molto raffinato dalle chiare tinte paradisiache e psichedeliche. Commovente il passaggio in “If Only The Seas Were Merciful” dai riff di chitarra distorti, ma mai violenti, a stacchi a dir poco bellissimi utilizzando effetti più cristallini. Altro pezzo davvero degno di nota è sicuramente “Lullabye For Ian” dove un giro di chitarra, simile alle note di un vecchio carrilon, ripetuto per l’intera durata del brano, cresce, cresce fino al raggiungimento della catarsi ultima in cui sembra quasi di ritrovarsi dinnanzi ad una colonna sonora targata James Horner. Pezzi lunghi quanto serve per la creazione del famoso salto esoterico, suoni di produzione discreti ed il fatto che si stia parlando di una one man band dedita a suonare nei propri esordi del black metal (come la quasi totalità dei suoi colleghi), portano ad affermare che quello che abbiamo tra le mani sia un buon album.
Una release per cultori certo, amanti della sonorità ricercate ed intellettuali, ma che sicuramente non può far passare in secondo piano le notevoli potenzialità della band.
7.5