Il ritorno in Italia di Aaron Turner era un evento che non poteva non attirare tanti nostalgici e appassionati di certe sonorità sperimentali, nonostante il mitico ex-frontman degli Isis sia adesso in tour con uno dei suoi innumerevoli gruppi minori, in questo caso i Mamiffer, la creatura ambient della compagna di vita Faith Coloccia, un progetto discreto su cui non nutrivamo molte aspettative ma che eravamo comunque curiosi di vedere all’opera. Ad accompagnarli però c’era un altro gruppo per noi molto invitante, che avevamo intenzione di goderci dal vivo: i Menace Ruine, appena usciti per Profound Lore col nuovo album Alight In Ashes, un mistico e affascinante lungo rito dark ambient / avantgarde black. Le promesse per una serata interessante c’erano tutte, non ci aspettavamo incredibili sorprese ma sicuramente degli show carichi di atmosfera; così è stato.
Mamiffer + Menace Ruine + 26thousandyears + Qube
Chet’s Club, Bologna (BO)
17 / 10 / 2012
QUBE
Al nostro ingresso nel locale stanno suonando i toscani Qube, primo gruppo della serata. Non conoscevamo questo trio (più tardi scopriremo che in realtà sono in quattro) che a quanto ci risulta suona un post metal con una forte componente ambient; in ogni caso per quest’occasione i tre, senza batterista, si presentano al pubblico del Chet’s Club con un set più minimale, che accentua il lato ambient del loro sound anche per mezzo di un notevole uso dell’elettronica. La proposta ci pare interessante: su atmosfere rarefatte ed eteree veleggia una voce evocativa, che ci ha ricordato un po’ i Dyskinesia, e anche le contaminazioni elettroniche appaiono ben inserite nel contesto, contribuendo a vivacizzare il risultato finale. Da elogiare anche la volontà di arricchire il tutto con strumenti che immaginiamo non siano presenti nella musica standard del gruppo, come un flauto, il cui suono però non esce proprio benissimo dall’impianto. Nel poco tempo in cui li vediamo all’opera fatichiamo a decidere se la loro è una proposta davvero profonda e convincente o un insieme di elementi nel complesso poco originali, ma di sicuro la prima impressione è stata buona. Approfondiremo.
26thousandyears
Anche per gli eroi locali, i bolognesi 26thousandyears, è previsto questa sera un set alternativo: i loro pezzi originali sono riletti in una chiave semiacustica ed elettronica più “dolce”, con un umore più minimale, utilizzando anche il pianoforte del locale (il Chet’s Club ha una chiara impostazione da jazz club). Non siamo ancora riusciti a vedere live i 26thousandyears in versione standard, nonostante siano molto attivi, ma i pezzi registrati che abbiamo sentito non ci hanno entusiasmato, con la loro miscela di metalcore facilone e parti d’elettronica (il fatto che poi loro si definiscano “sludgestep”, non sappiamo quanto ironicamente, non depone a loro favore). In ogni caso, questa sera non ci son dispiaciuti troppo: pianista e batterista alla voce se la son cavata bene col cantato pulito, strumentalmente invece nel complesso i quattro non hanno osato troppo ma ci può stare, visto che era la prima volta che suonavano in questa nuova veste. Con questo intendiamo che la band s’è limitata a creare delicate nenie strumentali, basate prevalentemente sul pianoforte con chitarra e basso a fare da accompagnamento, mentre la batteria dettava i tempi in maniera molto più decisa, dando maggiore brio ai brani: se avessero insistito con una maggiore varietà ritmica generale, forse li avremo trovati un po’ più che semplicemente “gradevoli”. Dopo poco tempo la linearità della loro proposta ci ha un po’ stufato, ma il resto del numeroso pubblico, in cui erano presenti tanti amici della band venuti a supportarli, ha apprezzato. Esperimento interessante, in ogni caso; in attesa di vederli in versione “standard”, abbiamo per ora l’impressione che la musica suonata stasera possa anche venirgli meglio di quella che propongono solitamente.
MENACE RUINE
Fin dall’inizio, temevamo che la stragrande maggioranza del pubblico accorso questa sera fosse qui soprattutto per aver letto nella locandina dell’evento “Aaron Turner from Isis”; comprendiamo di aver visto giusto quando cominciano a suonare i Menace Ruine, nell’indifferenza quasi totale. Anzi, per i primi minuti siamo pure costretti a sopportare il fastidioso chiacchiericcio di parecchi bolognesi più o meno ubriachi che non hanno evidentemente i mezzi per comprendere la bellezza di quanto accade sul palco. Per fortuna, dopo poco i non interessati si rendono conto che se vogliono blaterare possono trasferirsi al piano di sopra, e nel piano interrato del Chet’s rimaniamo in quindici – venti circa, ammaliati dall’oscuro splendore dei Menace Ruine. Geneviève Beaulieu, sorta di lungocrinita fricchettona senza reggiseno, si mette subito nelle vesti (solo figurate) di mistica sacerdotessa e intona evocative litanie che dal vivo, com’è giusto che sia, colpiscono ancor più che su disco: non sarà una donna da copertina, ma la sua voce le conferisce un fascino incredibile. Il richiamo alla Nico di Desertshore è ancora una volta inevitabile, ma facciamo fatica a pensarci molto durante il concerto, rapiti come siamo dal suo canto e dalle sue delicate movenze sulla tastiera. S. De La Moth si “limita” a suonare, dividendosi tra tastiera ed effetti vari, ottenendo un risultato meno “ruvido” di quanto si può sentire in certi brani su disco, anche perché la scaletta è incentrata ovviamente sul nuovo Alight In Ashes, il disco meno “pesante” e più “rituale” dell’intera discografia della band. Il risultato complessivo supera ogni nostra aspettativa, facendoci perdere completamente la congnizione del tempo e lasciandoci quasi un po’ di amaro in bocca, quando ci riprendiamo dal torpore mentale a fine show; davanti al palco eravamo pochi eletti, ma abbiamo avuto la sensazione che tutti fossero nelle nostre intontite condizioni. Non vediamo l’ora di ripetere questa mistica esperienza.
MAMIFFER
Usciamo dal locale durante il cambio palco, per rientrare a pochi minuti dall’inizio dello show dei Mamiffer, trovando con grande sorpresa un gran numero di persone davanti al palco. Se c’è permessa una considerazione ironica, notiamo che il pubblico presente è suddividibile in tre categorie: bolognesi passati a salutare amici che han sentito due pezzi dei Mamiffer pensando che fosse Allevi; gente che è venuta solo per vedere Turner dal vivo (ma qualcuno ha notato che c’era Joe Preston al basso? Insomma, Joe Preston!); altri. Anche noi, lo ammettiamo, abbiamo provato un leggero brivido a vedere sul palco il buon Aaron e il basso “spuntato” di Joe, che abbiamo avuto occasione di goderci appieno qualche anno fa col suo progetto solista Thrones. Eravamo però consapevoli che il fulcro dello show sarebbe stata Faith Coloccia e la sua tastiera, con gli altri tre (non abbiamo riconosciuto il batterista) a fare da semplice contorno, rendendo decisamente più fruibili anche in una dimensione live brani che su disco risultano gradevoli ma non particolarmente entusiasmanti. L’impatto generale è più che buono, e il concerto si rivela comunque piacevole, anche se privo di veri e propri picchi emozionali: alla lunga la noia sopraggiunge, ma per buona parte dello show ci facciamo cullare volentieri dalla delicatezza dei Mamiffer. C’è da dire che Faith, pur essendo più giovane (crediamo) e più bella della Beaulieu, non ne ha certamente il carisma, e pure la sua voce, per quanto bella, nei brevi passaggi in cui interviene non emoziona assolutamente quanto quella della collega canadese. Turner sembra voglia lasciare completamente il centro della scena alla compagna, ciononostante è inevitabile che tutte le attenzioni siano catalizzate su di lui, che cerca di fingersi attivissimo ma che in realtà potrebbe tranquillamente mettersi a fare dei piegamenti e suonare senza fare una piega. Lo show insomma procede in maniera scorrevole e tutto sommato piacevole, finché proprio quando ormai la noia ci sta inesorabilmente prendendo con sé Faith prende la chitarra, l’atmosfera diventa improvvisamente rovente e Aaron Turner ci delizia con le sue inconfondibili urla; ma è solo una visione, un’illusione che dura pochissimi minuti, quasi un contentino lasciato a noi stronzi che ci stavamo quasi facendo scappare una lacrimuccia… poi tutto finisce. E alla fine, nonostante tutto, forse un po’ ci dispiace.