Sarà la fase di stallo del Bel Paese che ci destabilizza un poco? La famigerata ‘ingovernabilità’ che ci confonde ancor di più le idee? La Crisi che ci fa sentire in colpa alla prima spesa superflua? O la correlata voglia di stordirsi a kilometro zero (ovvero nel salotto di casa propria) con due o tre amici e la birra del Lidl? Chissà, fatto sta che il desiderio di fare un bagno di folla che mi attanaglia questa sera – rara parentesi concessami da una strisciante forma di sociopatia che mi sta accompagnando negli ultimi tempi – non viene per niente esaudito perché al circolo Arci Ratatoj di Saluzzo, locale in cui decido di ammazzare il sabato, incrocio un sesto del pubblico che in realtà mi aspettavo di trovare. E dire che fino a pochi mesi fa ci si lamentava perché ai concerti si incrociavano sempre i soliti volti noti. Alla faccia… Stasera i soliti volti noti sembrano aver scartato un appuntamento che in altri tempi avremmo etichettato nel bene e nel male di ‘routine’. E la cosa peggiore è che al loro posto non s’è presentato nessuno, nemmeno quegli avventori casuali che uno si aspetterebbe di veder girovagare sfaccendati per locali più per una birra e due chiacchiere che per un concerto. Messo da parte il senso di scoglionamento non mi resta che consolarmi con la buona musica, seconda ragione per cui sono venuto qui stasera, tanto più che nella proposta di oggi c’è dello spessore, e in tutti i sensi. Sia per i suoni – massicci e ‘nutrienti’ – che a ben vedere per i temi dosati con più o meno savoir-faire cabarettistico da entrambe le band: alienazione vs. sarcasmo con un’abbondante spolverata di rabbia, insomma, il cacio sui maccheroni dei giorni nostri. I due gruppi in questione sono i Treehorn e i Titor.
TITOR + TREEHORN
Ratatoj, Saluzzo (CN)
02 / 03 / 2013
TREEHORN
Andiamo per ordine: ad aprire le danze ci pensano i Treehorn, che sin da subito si rivelano una macchina da guerra ben lubrificata. Il trio fossanese – reduce da un minitour europeo annullato all’ultimo per un brutto colpo di sfiga – che continua ciò nonostante a scavarsi una nicchia di tutto rispetto nel panorama heavy nostrano e non solo, per l’ennesima volta si presenta in perfetta forma, sia da un punto di vista meramente esecutivo che stilistico. Le esalazioni sabbathiane che i ragazzi sembrano aver inalato negli ultimi anni hanno infatti marcato le distanze da quella forma di post-hc che agli esordi li faceva sembrare un side-project dei Ruggine dopato da dosi massicce di Harkonen, scaraventando la materia sonora su lidi più groovy e sludgy arricchiti da una voce che in certe sfumature ricorda addirittura quella di John Garcia dei Kyuss. E se quest’aria di rinnovamento si respirava già nei pezzi scelti per Hearth, la loro ultima uscita discografica datata 2011, la si sente ancora di più nei brani inediti proposti stasera, che aspettiamo e speriamo di sentire sul loro prossimo lavoro. La semplicità in-your-face di “Stockholm”, l’incedere tra il tooliano e il blueseggiante della seconda parte di “Senescence” o la massiccia “Freeway to the Sun” (che dopo il riff iniziale mi ricorda qualcosa dei Regulatorwatts, chissà perché?) sono solo alcuni dei numerosi punti di forza di un gruppo in crescita e alla costante ricerca di una sua personale dimensione artistica, e oltre a far battere i piedi a terra ai presenti, danno anche un senso alla mia serata. Consigliatissimi dal vivo.
TITOR
Tocca invece chiudere ai Titor, quartetto torinese che annovera tra le sue fila esponenti illustri della ToxHc degli anni novanta tra cui l’iperattivo Sabino Pace, volente o nolente frontman indiscusso dell’intero lotto. Benché non possa di certo considerarmi un fanatico di queste sonorità (sono sempre stato un po’ allergico al cantato in italiano sulla musica pestata, non voletemene), riconosco sin dalle prime note che i Titor ci sanno davvero fare. Sabino, irruente e caustico, si muove sciamannato sul palco come un pupazzo meccanico pilotato nientemeno che dalle esperte mani di Satana. Si dimena, si piega in avanti, si muove a scatti scuotendo la zazzera rossa e in un’occasione improvvisa addirittura uno pseudo-comizio in piedi sul davanzale a lato del palco. La sezione ritmica che pulsa alle sue spalle invece carbura come una ruspa costruendo patterns geometrici alla Therapy? e alla Helmet, mentre la Telecaster affilata di Sandro Serra chiude il cerchio e amalgama il tutto bastarda come una colata di bostik al sapore di Refused. La voce è cartavetro e le parole rasoi. Lo sono pure e forse ancor di più nei monologhi tra un pezzo e l’altro, che se da un lato possono sembrare un tantino eccessivi e prolissi, dall’altro impreziosiscono lo stile dei Titor rendendolo se non unico di sicuro ‘sui generis’. Sabino infatti usa il microfono come un personalissimo mezzo ‘trita-luoghi-comuni’, cacando perle di saggezza frammiste a citazioni varie con una velocità e scioltezza tali da far venire l’emicrania e le lacrime agli occhi dalle risate (sempre un po’ amare, ma questo è il prezzo del sarcasmo). Il repertorio proposto invece è tutto quanto contenuto nel loro Rock Is Back, album di nove tracce licenziato dalla INRI e fedele al suono che i quattro hanno dal vivo. Da segnalare “Dal 2036”, “Titor Is Dead” e “Quello Che Non Sai”, veri e propri inni in miniatura, e la riuscita cover di Ivan Graziani, “Motocross”, brano che se non fosse stato annunciato si sarebbe mimetizzato tranquillamente in mezzo agli altri dei torinesi. Bravi. Anche loro, come i Treehorn, vanno assolutamente sentiti dal vivo.
Serata in generale degna di nota, peccato per la scarsa partecipazione: i presenti si son goduti un ottimo spettacolo, energico e rinvigorente. Tutti gli altri non sanno cosa si sono persi.