1. Rising
2. Slave to the Sword
3. Immortality Made Flesh
4. Foe Hammer
5. Warrior of the Night
6. Ancient Violence
7. From the Abyss
8. Moonlight Sonata (Act 3)
9. Battle-Born
10. Metal Is King
Formatisi nel 2002, in California, gli Exmortus avevano deciso di abbracciare quel filone che faceva capo al death/thrash melodico portato in auge dai maestri The Crown, andando ad aggiungere elementi tecnici e influenze provenienti dal power metal più estremizzato; con un simile calderone di spunti vari era evidente il rischio di non riuscire a concludere nulla all’atto della concretizzazione finale.
Se con il primo disco, In Hatred’s Flame, erano riusciti ad evitare d’incappare in tale problema, lo stesso non si può certo dire per le due pubblicazioni successive, compreso il neo arrivato Slave to the Sword di cui ci occuperemo in questa sede. Inspiegabilmente, i Nostri hanno voluto esasperare la componente epica, ammiccante al power metal, dando vita ad un sound eccessivamente arioso, poco efficace, reso ulteriormente stagnante da un’aura di già sentito a là Children Of Bodom dell’ultimo periodo, una cosa che non fa certo onore ai californiani. Concentrandoci sul prodotto in questione, sin dall’inizio ci troveremo a fare i conti con questa nuova incarnazione “epicheggiante”: “Rising” ad esempio inizia con arpeggi rapidi e delicati per poi virare su un più duro ed aggressivo “tupa-tupa” ispirato al thrash metal teutonico. Se “Immortality Made Flesh” e “Foe Hammer” godono di un buon tiro e risultano piacevoli, lo stesso non si può dire di brani come “Warrior of the Night”, il cui inizio fa pensare di aver erroneamente inserito nel lettore un CD dei Rhapsody Of Fire, o “Metal Is King“, il cui nome sembrerebbe scippato da un’opera dei Manowar, caratterizzato da incessanti velleità epico/classiche che risulteranno stucchevoli dopo il primo ascolto; per non parlare di “Moonlight Sonata (Act 3)”, il cui titolo fa presagire una ballad ultra-melodica, risultando poi non troppo distante da quanto temuto, seppur il brano sia dotato di una sezione ritmica abbastanza incalzante.
Tra uno sbadiglio e l’altro si riesce a giungere alla conclusione di Slave to the Sword, un album difficile da apprezzare più di tanto, la cui valutazione viene risollevata in extremis grazie alla produzione potente e ad un artwork piuttosto curato ma la cui sostanza risulterà indubbiamente noiosa. Peccato che gli Exmortus si siano lasciati andare in questo modo, speriamo che in futuro riescano a ritrovare l’ispirazione perduta.
6.0