(Amputated Vein Records, 2014)
1. Torture of the Damned
2. Slamming Damnation
3. Fallen Mankind Toward Naraku
4. Black Plagues Among the Rashomon
5. A Circle of Awaiting 16 Torments
6. Kingdom of Throatfuck
7. Preta Lovers
8. Thy Martyrdom
Nati dall’incontro tra alcuni scafati musicisti della scena brutal americana e il talentuoso vocalist estremo giapponese Kiyo “no-kon” Nishihara, i Kyojin Daigyakusatsu, che si traduce letteralmente come “gigante del massacro” si sono affacciati nell’affollata scena death metal moderna con una proposta musicale dedita alla più totale violenza distruttiva sotto forma di brutal-death metal dalle tinte groovy con alcune influenze slam.
Come evidenziato anche da nome ed art work, i Nostri hanno deciso di abbracciare in toto il verbo del gore e dello splatter per trattare tematiche come massacri, mutilazioni e spargimenti di sangue vari, il tutto amalgamato al folklore giapponese. Sebbene l’idea di base non sia certo qualcosa di originale o particolarmente accattivante, di tutt’altra pasta è fatta la musica: un brutal-death trasudante groove da tutti i pori, imperniato su ritmiche pachidermiche e chitarre e basso ultra distorti amalgamati con il growl profondo e “malato” del vocalist nipponico. Passando ad un’analisi vera e propria di Muhaka si può notare che il disco risulta diviso in due parti: i primi quattro brani, infatti, sono caratterizzati dalla tipica pesantezza slam e puntano tutto sull’effetto schiacciasassi, martellando l’ascoltatore con riff granitici e blast sparati a mille; da “A Circle of Awaiting 16 Torments” in poi viene invece scelto invece un approccio più dinamico e la totale devozione ai Disgorge viene prepotentemente a galla, con evidenti richiami ai seminali Cranial Impalement e She Lay Gutted. Degna di nota anche la successiva coppia formata da “Kingdom of Throatfuck”, caratterizzata da cambi di tempo repentini ed un refrain monolitico a là Gorgasm, e “Preta Lovers”, che si riallaccia al dinamismo e alle accelerazioni brucianti della quinta traccia. Piccola nota a margine, ritengo una scelta piuttosto carina ed originale l’idea di scrivere il logo della band utilizzando gli ideogrammi giapponesi al posto dei soliti caratteri classici, un piccolo valore aggiunto che aiuterà sicuramente a farsi notare nell’affollato mercato odierno.
Che dire, nulla di nuovo sotto il sole, i Kyojin Daigyakusatsu sono mestieranti che sanno come maneggiare sapientemente il lato più estremo del death metal e, pur non innovando minimamente quanto proposto in passato dai mostri sacri del genere, risultano accattivanti quanto basta per rendere Muhaka un disco piacevole e divertente.
7.0