Come succede per ogni dayoff, di sicuro non ci si può aspettare il pienone, e Pisa è una città universitaria piena di studenti che ci vivono solo per studiare e non per andare a concerti. A volte però contingenze e buona volontà fanno ottenere un buon risultato comunque, come quando, ad esempio, gente come me si ritrova impegni annullati all’ultimo momento e può azzardare quei venti chilometri di macchina per vedere all’opera i post-corers svizzeri Coilguns.
Coilguns + Vaz + Ginevra
Borderline, Pisa
13 / 10 / 2014
Ginevra
Primi ad esibirsi, i Ginevra nel complesso pagano lo scotto di quasi tutti i gruppi toscani, che sono costretti ad una gavetta infinita per una penuria leggendaria di luoghi dove suonare (quello del Borderline di Pisa è uno stage piuttosto ambito), ma si giocano bene il vantaggio di aver in precedenza calcato il grosso palco del festival estivo di casa, in apertura a nomi considerevoli della scena nazionale e non. I pezzi sono stati revisionati in studio (è uscito da un mesetto il disco d’esordio autoprodotto, con mastering di Lorenzo Stecconi). I quattro ragazzi si piantano sul palco proponendo robusti suoni di ispirazione post metal; si sentono qua e là le suggestioni dei Meshuggah mescolate con le vecchie parti stoner, ma il prodotto è maturato bene e viene sostenuto da una sezione di batteria efficace e priva di quelle rotture dello schema ritmico che sembrano oramai indispensabili. Le linee di chitarra non osano ma garantiscono concretezza e i pezzi non lasciano l’amaro in bocca quando finiscono.
Vaz
Il primo impatto per questi attempati americani è traumatico: la chitarra sferraglia a troppi decibel e l’eco sulla voce stordisce, ma passano solo pochi secondi (la famosa fine della pausa sigaretta) e la band esplode, con chitarre lamellari affilate e scheggiate che spingono allo stremo il jcm800 del vocalist (l’altro, il “solista”, si appoggia ad una testata Transistor). Non c’è dubbio che le suggestioni di Amphetamine Reptile con il vecchio progetto Hammerhead qua si sentano maturate e rafforzate. Il batterista va come un frullatore, con bacchettate secche in tripletta e pattern ripetitivi ad accompagnare il vocal delay exciter; ricordi di Cramps, in senso molto lato, spuntano più volte nel corso della performance di quello che è essenzialmente un combo di noise rock violento e acido. Da rettili sotto anfetamina, appunto. I pezzi rimbecilliscono il pubblico, che però non demorde neanche su una cavalcata ostinata di ben più di dieci minuti. Chi può sta appiccicato al palco e sacrifica le orecchie, nessuno comunque abbandona la sala. Il mestiere e la passione si sente in concerti come questi: ogni feedback è esasperato, ogni rullata dura è essenziale. I Vaz conoscono il potere psicotropo dell’ondata di rumore.
Coilguns
Niente toms per questo trio svizzero. Batteria pressata in fondo al palco, forse per fare spazio ad una grossa pedaliera. No, anche il chitarrista si relega in un angolo, non guarda verso il pubblico. Tutto il palco è lasciato libero per il tizio che poco prima si è messo a guardarci da sopra le spie, poi è sceso e ci ha spinto ad alzarci per lo spettacolo. Chitarra e batteria partono in spezzato, rullate contro scale e pause, in puro atteggiamento mathcore. I due se la intendono, fanno finta di non considerarsi ma se la intendono sul serio, dai loro angolini. Nel resto del palco il cantante, tremendamente francofono anche se sbraita in inglese, credo, si prende tutta l’attenzione con salti agitati e scomposti: ha le sue dinamiche e i suoi ritmi, ma ben presto si aliena la mia attenzione. Vedo che gli si rompe il microfono almeno un paio di volte, dopo tre o quattro pezzi ho capito l’andamento e mi ritiro in sala fumatori (che ha i vetri ed è in fondo alla sala concerti, e quindi continuo a sentire e vedere lo show, ma senza sacrificare al dio acufene altri decibel). Per fanatici dello screamo alla francese, credo che lo show fosse eccellente, ma io purtroppo ho altri gusti. Comunque, ad essere onesti, tutto fila e la sezione strumentale regge egregiamente il colpo. La svolta avviene nel momento in cui interviene una seconda chitarra che finalmente àncora il vocalist a terra e razionalizza il concerto: i suoni scendono di tono e i break diventano più duri, coinvolgendo molto di più l’ascoltatore a dispetto della resa scenica. Si sente, non me ne abbiano i fans, che il trio è in realtà un duo.