Ciao Marco, benvenuto sulle pagine di Grind On The Road. L’impressione durante l’ascolto di Kanaval è di trovarsi di fronte a qualcosa di molto più oscuro di tutto ciò che avete prodotto prima, cosa si cela dietro alla sua gestazione?
Ciao Diego. Kanaval è stato una sorta di ritorno al sound che rappresentava la band tra la fine degli anni 90 e il primo vero EP (Divisional, 2004). Ovviamente tutto è però suonato e composto con una consapevolezza maggiore. Gli estremi di del disco emergono senza troppa difficoltà, in un continuum fra l’ambient e lo sludge.
Pensi che sarà difficile ricreare in sede live le atmosfere plumbee e le stratificazioni del disco?
Non credo, è un disco molto live, ci sono pochissime sovraincisioni e resta un album molto viscerale.
L’artwork colpisce per la sua originalità, una esplosione di tribalismo e primordialità. Ce ne parli?
Si l’artwork è stato curato da Kain Malkovich (nostro collaboratore da otto anni, non solo dei The Marigold, ma di tutta la DeAmbula Records) mentre i disegni sono del nostro produttore storico Amaury Cambuzat. Il tribalismo è l’elemento portante di questo disco, sia nel sound che nella parte visiva.
Per questo disco vi siete avvalsi di Toshi Kasai (Melvins, Tool e molti altri) in sede di produzione. Che influenza ha avuto nell’evoluzione del vostro suono la sua presenza?
Toshi è un grande musicista e un gran produttore, ha reso il sound della band devastante, “grosso”, il suono non è europeo come nei precedenti album ma è americano a tutti gli effetti, ovviamente senza snaturare l’imprinting della band. Kasai inoltre ha suonato anche su diversi brani sviluppando arrangiamenti bellissimi, uno su tutti è il mandolino sul brano “So Say We All”.
Come scritto in sede di recensione ho sentito una sensibilità stilistica che mi ha riportato alla mente uno dei gruppi a mio avviso fondamentali degli anni 90: parlo dei The God Machine. Che rapporto avete con la loro musica e più in generale con tutto quello che è stato prodotto in quel periodo?
Mi piace l’accostamento, i God Machine li adoro! Siamo ovviamente cresciuti in quel periodo e la musica degli anni 90 ci ha influenzato, ma nel disco ci sono anche molti rimandi alla psichedelia di matrice kraut ed anche venature no-wave.
La vostra musica ha maggior seguito in Italia o all’estero?
Vivendo in Italia ci conoscono ovviamente di più qui, ma quando abbiamo suonato all’estero siamo sempre stati bene accolti ed apprezzati. In passato siamo usciti anche sotto una label francese e quest’ultimo album ha visto la luce anche su cassetta negli Stati Uniti per una label di Chicago, la Already Dead Tapes & Records.
Dei gruppi odierni cosa ascoltate maggiormente?
Quasi solo musica sperimentale e jazz d’avanguardia.
Sei anche a capo della Deambula Records, interessante etichetta che ha sfornato piccole gemme negli anni passati (e tutt’ora!). In che stato di salute si trova oggi la scena indipendente italiana?
Grazie. La scena indipendente è cambiata, secondo me non è in buona salute, ci sono molte belle realtà non valorizzate purtroppo. Noi con DeAmbula Records cerchiamo di puntare all’autenticità di un disco, instaurando un rapporto con gli artisti per poter comprendere al meglio le loro esigenze.
Ho finito, grazie per la tua disponibilità, saluta come preferisci i nostri lettori.
Grazie Diego, un saluto a tutti! CIAO!