(Kscope, 2015)
1. First regret
2. 3 years older
3. Hand Cannot Erase
4. Perfect life
5. Routine
6. Home Invasion
7. Regret #9
8. Transience
9. Ancestral
10. Happy returns
11. Ascendant here on…
Con Steven Wilson, il geniale chitarrista/cantante/bassista/percussionista (eccetera) che ha dato alla luce alcuni dei più grandi capolavori del progressive rock moderno (con i Porcupine Tree ma non solo, Wilson ha più progetti che dita dei piedi), non si può mai sapere cosa potrebbe capitarci nel lettore CD. Steven è un uomo polifunzionale, e nell’ultimo decennio ha sperimentato moltissimo, spaziando dal progressive rock più classico (che simpatico controsenso), all’ambient. Dopo quel capolavoro che risponde al nome di The Raven That Refused to Sing, le aspettative per questo Hand. Cannot. Erase. erano a dir poco stellari, se consideriamo che la line-up è rimasta praticamente invariata.
Inutile girarci intorno: al primissimo ascolto non si rimane per niente colpiti. Ma non c’è nulla di cui stupirsi: tutti i grandi dischi hanno bisogno di molteplici ascolti, specialmente se si tratta di concept album come questo. Dopo quasi un mese intero di ascolti pressanti ed ossessivi, la primissima impressione è rimasta però praticamente invariata. Ma dove ha sbagliato Wilson? Possibile che sia cascato così clamorosamente? La risposta alla seconda domanda è no, Hand. Cannot. Erase. non è un brutto disco. Semplicemente, non è all’altezza del predecessore. Per poter rispondere alla prima, invece, dobbiamo gettarci a capofitto nei brani: Steven Wilson è, come sappiamo, dotato di un’ottima estensione vocale e di una sorprendente versatilità. Come al solito, la sua voce raggiunge picchi espressivi nei pezzi che consentono più spazio di manovra. Parliamo di ballad, semi-ballad et similia nelle quali Steven brilla veramente di luce propria. Per quanto concerne il lato strumentale, l’album risulta però estremamente più banale rispetto al predecessore. Le parti jazz-fusion che avevano fatto la fortuna del caro Steven sono praticamente sparite, insieme alle lunghe divagazioni strumentali che hanno sempre caratterizzato le opere del musicista britannico. Inoltre, Wilson si ostina a voler suonare tutti gli strumenti in molte delle composizioni, sprecando di fatto la possibilità di avere a sua disposizione tre dei session men tecnicamente più preparati al mondo. Le parti di chapman stick sono state ridotte all’osso, insieme agli assoli di basso. Perfino i flauti ed i sassofoni sono spariti, quasi a voler confermare le prime atroci/precoci paure.
L’album procede in maniera molto naturale, ed è comunque da sottolineare l’importanza che riveste la trama nella composizione di tale opera: siamo di fronte ad un concept elaborato, malinconico e stratificato. Difficilmente si riesce a comprendere tutto l’intreccio in un solo ascolto. Spiccano per qualità “Routine” e “Home Invasion”, pezzi spettacolari che da soli valgono (forse) il prezzo del disco. Menzione particolare anche per “Perfect Life”, contenente un’interessante parte narrata, insolitamente lunga per un pezzo di appena cinque minuti.
In conclusione, Hand. Cannot. Erase. non è un brutto album. È tuttavia la dimostrazione che un uomo, per quanto geniale, non può prendersi sulle spalle il peso del mondo. The Raven That Refused To Sing portava la firma di Wilson, ma allo stesso tempo era un lavoro di Marco Minneman, di Guthrie Govan e di Nick Beggs. Tutti questi grandi musicisti avevano lasciato la loro impronta sul disco, con le loro performance fuori dal comune. Questo marchio, purtroppo, è andato perduto. Rimane solo quella maledetta chitarra acustica, onnipresente e onnipotente in quasi ogni pezzo del platter, quasi a volerci ricordare che questo è un album di Steven Wilson. Suo e di nessun altro.
6.5