Murder Therapy + Abaton
Sidro Club, Savignano Sul Rubicone (FC)
19 / 12 / 2010
In una delle sere più fredde dell’inverno romagnolo 2010, poche persone sarebbero uscite dalla propria calda dimora per sfidare il clima rigido all’esterno. Poche persone avrebbero sfidato le intemperie e il ghiaccio sulle strade per raggiungere il Sidro, pub di Savignano carino ma abbastanza nascosto. Poche persone avrebbero fatto ciò, soprattutto, per un concerto di due gruppi italiani, della zona tra l’altro. Eravamo infatti in pochi, questa sera, al Sidro di Savignano, per vedere Abaton e Murder Therapy (che per l’occasione presentavano tutti i pezzi dell’album prossimo venturo). Beh, peggio per chi non è venuto. Si son persi uno spettacolo fantastico.
Abaton
Gli Abaton esistono da poco, ma negli ultimi mesi si stanno facendo sempre più notare da queste parti. Sono di Forlì, sono in cinque, e propongono una musica oscura e tetra, influenzati da quei gruppi che, mischiando l’hardcore a richiami al black metal, come Celeste, Black Breath e volendo gli ultimi The Secret, si sono fatti molto notare in questo 2010 (tutti e tre con uscite discografiche di ineccepibile valore). Poiché questa non è assolutamente la sede adatta a discutere sull’eccessiva esposizione che sta avendo ultimamente questo sottogenere (e poiché il sottoscritto recensore è già stufo di sentire frasi da brividi come “il blackcore è la nuova moda”), andiamo subito ad analizzare la performance di questi ragazzi, che, non avendo ancora pubblicato nulla, possono essere valutati solo in sede live. C’è da dire che fanno un’ottima impressione, denotando già dopo poco tempo un ottimo affiatamento e, sembra, una certa cura per i dettagli: è evidente infatti come agli Abaton piaccia creare atmosfere cupe, immergervisi in maniera teatrale e compiacersi dell’effetto che questo fa sul pubblico. Se il loro atteggiamento può ad alcuni sembrare eccessivo, è innegabile come l’evidente convinzione che hanno sui propri mezzi aumenta a dismisura l’impatto live. Veniamo però ai brani. Dopo una (forse troppo) lunga intro strumentale, i due cantanti, che fino a quel momento davano le spalle al pubblico, raggiungono i microfoni e danno inizio al tenebroso valzer che è la musica degli Abaton, accompagnando con le loro urla disperate l’alternarsi di oscure atmosfere sorrette dal lento incedere della sezione ritmica e dalle melodie spettrali della chitarra, e di rabbiose accelerazioni di spirito più vicino al black. I pezzi seguono più o meno tutti questa struttura, e se è vero che questo alternarsi crea contrasti affascinanti, bisogna anche dire che alla lunga si sente una certa ripetitività. Per quanto il gusto melodico dei forlivesi sia davvero raffinato, il rischio che corrono nei loro pezzi è di eccedere nella creazione delle loro ambientazioni oscure: non annoiano un appassionato di musica “lenta” come il sottoscritto, soprattutto perché, nelle loro divagazioni verso lo sludge, non provano a scimmiottare Neurosis e compagnia bella denotando dunque una certa personalità, ma dopo un paio di pezzi l’impatto iniziale si affievolisce, e di fatto colpiscono meno l’ascoltatore esperto. Soprattutto, privilegiando questo aspetto della loro musica lasciano in secondo piano le accelerazioni “black”, ed è un vero peccato, perché bisogna ammettere che quando si mostrano più diretti e aggressivi gli Abaton sono molto più efficaci, soprattutto perché sulle accelerazioni della sezione ritmica la chitarra continua a creare melodie spettrali e “oniriche”, formando un affascinante contrasto che permette comunque di conservare le sensazioni che vogliono trasmettere con ogni singola nota. In conclusione, pur avendo molto apprezzato lo show degli Abaton questa sera, e pur non dimenticando che in effetti suonano insieme da poco tempo, non possiamo non invitare questi ragazzi a variare maggiormente le strutture delle loro composizioni, senza concentrarsi su un solo elemento, poiché, con le buone idee grezze che mostrano nei loro primi pezzi, hanno le potenzialità per creare oscuri affreschi musicali da brividi. Un ultimo appunto però: a cosa servono due cantanti se, per quanto bravi, hanno due voci davvero molto simili? In uno dei pezzi proposti questa sera si sono sentiti accenni di “dialogo” tra voci diverse, e l’impatto era molto buono: sicuramente è la strada giusta da percorrere.
Murder Therapy
Per non rischiare di risultare poco credibili, bisogna ammettere che quasi tutti qui a Grind On The Road conosciamo personalmente alcuni membri dei Murder Therapy. Tuttavia, se pensate che quello che state per leggere sia un elogio dovuto solo a ciò, tutto lo staff di On The Road avrà il piacere di smentirvi invitando ad andare ad un concerto di questi ragazzi, per rimanere assolutamente sbalorditi come è successo a noi questa sera. Sapevamo che i Murder Therapy, dopo aver rivoluzionato la formazione del gruppo, avevano deciso di cambiare totalmente genere, abbracciando influenze più post-metal. Per quanto apprezziamo il genere e il coraggio di questa mossa, nutrivamo qualche perplessità sul passaggio ad una musica più lenta e ragionata per dei musicisti tecnicamente superlativi. In pochi secondi però, appena i quattro bolognesi hanno cominciato a suonare, ogni perplessità e svanita nel nulla, assorbita da un tornado di musica ed emozioni sprigionato con incredibile potenza evocativa dai quattro strumenti musicali. I Murder Therapy stasera ci presentano in anteprima tutto il nuovo album e col senno di poi possiamo dire che ci hanno fatto un regalo magnifico e allo stesso tempo malefico: sarà difficile adesso aspettare di avere tra le mani questo magico dischetto. Sappiate che, dopo averci dato prova di incredibili capacità nel maneggiare il death metal tecnico e brutale col loro disco d’esordio “Symmetry Of Delirium”, ora ci offriranno un’incredibile prova di originalità, mostrandoci la loro voglia di esplorare i territori più inesplorati del genere, sulla scia dei Gojira ad esempio, senza però disdegnare la rielaborazione di elementi musicali cari a gruppi trasversali come Neurosis o Mastodon. Abbiamo detto tre nomi mica da poco, direte. Il punto è che è difficile nascondere l’entusiasmo davanti ad una band che, davanti a quello che ci ha mostrato stasera, ha le potenzialità per diventare un grandissimo nome di stampo internazionale. Perché le loro composizioni, se anche ricordano appunto i Gojira, denotano una personalità incredibile, bilanciando con un equilibrio naturalissimo e mai forzato le parti più aggressive a quelle più melodiche, mantenendo sempre viva e attiva l’attenzione dell’ascoltatore (confessiamo, senza esagerare, che più di una volta abbiamo sentito veri e propri brividi correrci lungo la schiena). Perché hanno una padronanza inimmaginabile dei loro strumenti; le chitarre di Sean e Francesco riescono con eguale efficacia a dipingere nell’aria splendide melodie eteree per cullare l’ascoltatore e a macinare riff claustrofobici per atterrirlo, ma è incredibile come emerga quasi allo stesso (e non è cosa scontata) la sezione ritmica: il bassista Andrea e il batterista Samu sono anch’essi due mostri di tecnica, rapidi e precisi, capaci di sostenere i “cambi d’umore” dei chitarristi con immutabile maestria, e sono loro di fatto a gettare le basi del suono corposo e avvolgente che tanto ci ha ammaliato dei Murder Therapy. Più di una volta ci siamo concentrati ad ammirare l’incredibile velocità e naturalezza di Samu, tenendo ferma a stento la mandibola calante: è senza dubbio uno dei batteristi più talentuosi del nostro Paese. Solo una cosa ci manca da elogiare: la voce di Sean. Davvero non riusciamo a comprendere perché questo ragazzo non abbia mai cantato… Al di là del semplice fatto che, essendo americano d’origini, ha un accento inimmaginabile per ogni aspirante cantante italiano, la sua voce riesce a coprire un’impressionante gamma di tonalità, risultando potente e evocativa nei momenti più atmosferici e dura e rabbiosa in quelli più concitati: davvero non esageriamo se diciamo che potrebbe cantare alla perfezione i brani di un “Leviathan” o di un “From Mars To Sirius”.
Infine, i Murder Therapy di oggi hanno il pregio più grande per ogni musicista: la capacità di trasmettere emozioni fortissime. Non hanno bisogno di muoversi molto sul palco: la loro musica entra dentro le viscere dell’ascoltatore, lo coinvolge, lo avvolge, lo scuote e poi lo sputa fuori senza che lui riesca a capire bene cosa gli è successo. Certo, per analizzare maggiormente i brani nel dettaglio dovremo aspettare l’uscita dell’album (e non vediamo l’ora!), ma le sensazioni che abbiamo provato oggi, a partire dallo stupore iniziale fino ad arrivare all’esaltazione finale, non sono casuali. Oggi possiamo dire di avere la fortuna di aver assistito ai primi passi della nuova incarnazione di un gruppo che, se c’è giustizia nel mondo della musica, nell’arco dei prossimi due anni vedremo in giro per i palchi di mezza Europa. Noi, intanto, li ringraziamo per l’esperienza incredibile che ci hanno fatto provare, augurandoci di vederli il prima possibile. Giù il cappello e applausi scroscianti. E un principio di lacrimuccia.