(Dark Essence Records, 2015)
1. Luminauts
2. Atom
3. Genesis
4. Vitriol
5. Wait
6. Diorama
7. Ten Silent Circles
I Krakov sono un gruppo di Bergen, che nei lavori passati proponeva un post metal di stampo piuttosto classico (Neurosis, Isis, Cult of Luna su tutti) ma ben suonato e potente. Con il loro nuovo Amaran i norvegesi cercano di andare oltre, proponendo però un lavoro controverso.
Lo dico subito, il cambio di rotta ha nuociuto alla band. Fin dall’iniziale “Luminauts” si ha la sensazione che i Krakov abbiano perso completamente la potenza dei precedenti album. In sostituzione di questa troviamo una psichedelia alla Queen of the Stone Age, con lo stesso mood lisergico e passaggi chitarristici reiterati. Ci sono momenti in cui blande accelerazioni fanno capolino, ma in generale il disco non decolla. Il cantato è per lo più pulito, con rari scream che peraltro non incidono come dovrebbero. Arrivati a “Vitriol” si pensa di aver capito di che morte dover morire fino alla fine dell’ascolto, invece in “Wait” subentrano droni e rarefatti paesaggi sonori che paiono fortemente fuori contesto. “Diorama” invece cerca di mostrare il lato più heavy della produzione ma in realtà non sposta minimamente il giudizio complessivo dell’opera.
Amaran è il tipico passo falso, caratterizzato da alcuni momenti interessanti ma sopratutto da idee poco chiare di cui si fatica a capire il senso. Peccato.
5.5