(Relapse Records, 2013)
01 Here Comes Perdition
02 Hellbringer
03 The Colossal Hole
04 No Saviour
05 The Vacant Pale Vessel
06 Rotten Disciples
07 Dishuman
08 The Unhallowed Tide
09 Tormentopia
Quando si dice “dall’Oriente con furore”… Una frase del genere calzerebbe a pennello per i Coffins, veri e propri maestri del death/doom made in Japan, attivi dall’ormai lontano 1996 e da sempre produttori di ottima musica.
Dalla fondazione ad oggi il combo di Tokyo può vantare una ricchissima discografia costellata da mcd, split ed EP, che ora va ad arricchirsi del quarto full length album, intitolato The Fleshland. Come sempre i Nostri hanno profuso una cura maniacale nella creazione di questo disco, partendo dallo splendido quanto macabro artwork per finire con una produzione potente e precisa che allo stesso tempo è riuscita a mantenere vivo quel mood marcio e underground tipico del genere suonato. Analizzando le prime quattro tracce del disco possiamo farci un’idea completa di quest’opera, costruita sul death/doom più malato e mefitico che la mente umana possa immaginare: con “Here Comes Perdition” veniamo introdotti a questo viaggio senza ritorno nell’Ade da alcune grida belluine e ruggiti mostruosi, che si levano pieni di rabbia e ferocia verso un cielo plumbeo e tempestoso che esplode in una pioggia di riff ultra distorti, lenti e macilenti, in un puro stile old-school che ricorda un mix tra Grave e Autopsy. Si passa ad “Hellbringer”, brano dal DNA 100% death vecchia scuola, basato su midtempos marcissimi e riff monolitici e “rugginosi” che ricordano gli americani Cardiac Arrest; in “The Colossal Hole” invece prende il sopravvento il lato doom, con una ritmica lenta e funerea che persiste fino a che non si raggiungono lidi più rozzi e putridi, territori nuovamente cari agli immensi Autopsy. Per concludere la panoramica arriva “No Saviour”, un classico brano death/doom che ricorda gli Incantation di Diabolical Conquest con una spruzzata di swedish-death, in cui la batteria alterna ritmiche lente e “paluduse” ad alcune accelerazioni in doppio pedale, unite a una serie di riff “motosega” cari ai primi Dismember ed Entombed. Da segnalare anche “Rotten Disciples”, il brano più aggressivo del lotto, che mieterà un sacco di vittime in sede live, e “Tormentopia”, traccia di chiusura intensa e soffocante che ricorda gli esordi della band. Ciliegina sulla torta, la prestazione decisamente sopra la media del vocalist Uchino, che potremo definire il John McEntee con gli occhi a mandorla.
I Coffins sono ormai sinonimo di garanzia e qualità, chiunque segua questa band da un po’ di tempo potrà tranquillamente confermare questa affermazione; grazie ad una formula sì statica ma ben oliata e ad una preparazione di tutto rispetto, i Nostri riescono con naturale abilità a dar vita a brani dannatamente maligni ed opprimenti come pochi altri sono in grado di fare. Seppur The Fleshland risulti inferiore alle loro prime due pubblicazioni, si tratta comunque di un album valido e piacevole, difficilmente vi pentirete di averlo acquistato.
7.0