1. The Great Secret
2. Pelican of the Desert (featuring Sean Ingram)
3. Decayin with the Boys
4. Overstayer
5. If There Is Room to Move, Things Move
6. Moor
7. Exometrium
8. Thirst
9. Old Light (featuring Brian Fallon)
10. All Structures Are Unstable
11. El Dorado
12. Idiot
Il settimo album degli Every Time I Die è quello della consacrazione definitiva. I nostri, veri e propri veterani della scena metalcore, prendono sempre più distanza dalla bolgia di gruppi fotocopia che affollano il genere grazie alla loro classe nel comporre brani che trasudano rabbia e frustrazione.
Il disco parte come un vero e proprio assalto all’arma bianca con “The Great Secret”: nessun ritornello catchy, nessuna apertura melodica, solo riff granitici e possenti stop and go. Il massacro continua con “Pelican of the Desert”, nella quale Sean Ingram dei Coalesce presta la sua ugola: il risultato è un brano mathcore “stupracervello”. Keith Buckely dimostra la sua versatilità come vocalist in “Decayin with the Boys”, vero e proprio inno punk rock con tanto di video cazzaro e fuori di testa, in cui riesce con estrema disinvoltura a passare da un sinuoso cantato melodico ad un potente scream. Più marcatamente hardcore, “If There Is Room to Move, Things Move” porta alla mente iConverge più ferini con i suoi ritmi sincopati e le chitarre chirurgiche. “Moor” è il brano più sperimentale del disco: il martellante pianoforte accompagna una sulfurea litania che esplode in follia isterica accompagnata da ritmiche sludge. Un episodio insolito che speriamo possa aprire nuove vie stilistiche per la band di Buffalo. “Old Light” è un brano rock puro che vede la partecipazione di Brian Fallon dei The Gaslight Anthem, capace con il suo contributo di rendere la traccia più fruibile, aiutando l’ascoltare a spezzare la tensione creatasi durante la fruizione del disco. “El Dorado” è un mix tra il southern rockcaro ai nostri e le sfuriate death & roll di scuola Entombed; l’eccessiva lunghezza del pezzo lo rende di minor impatto ma non fa scendere minimamente il livello del disco. Più in linea con il resto del lavoro, la finale “Idiot” chiude un lavoro che dimostra come si possa progredire e migliorare album dopo album senza perdere in freschezza e potenza.
Forte della produzione di Kurt Ballou, From Parts Unknown è una piacevole conferma. Se dovessi scegliere a quali band dare fiducia totale per gli anni a venire punterei su di loro ed i Converge. Potete scommetterci.
8.0