(Century Media, 2014)
1. 317
2. Cutting Teeth
3. My Salvation
4. Psychonaut
5. Eye Of The Storm
6. Trend Killer (feat. Chuck Billy)
7. Time (Will Not Heal)
8. All I Have
9. Temptation
10. My Enemy
11. Kill The Light
12. This War
13. Infiltrator
14. Ghost In The Machine
Exit Wounds segna il ritorno dei The Haunted, nel vero senso del termine. Per chi ancora non li conoscesse, i The Haunted sono una band proveniente da Gothenburg, in Svezia, e propongono una particolare tipologia di metal che spazia dal Gothenburg sound (termine usato per riferirsi ad una determinata tipologia di melodic death metal di origine svedese) a un groove metal piuttosto tirato, che può ricordare per certi versi gli Slayer di God Hates Us All.
La prima cosa che salta all’occhio appena si guarda la tracklist è il notevole numero di tracce: ben quattordici, una rarità rispetto agli standard odierni. Purtroppo, la qualità non rimane costante per tutta la durata dell’album. Il disco è diretto, tremendamente diretto: diciamo addio alle melodie di facile ascolto e ai ritornelli orecchiabili del precedente lavoro, qui si pesta di brutto, per quasi tutta la durata del disco possiamo ascoltare una performance tirata, decisa e decisamente in linea coi canoni dei primi dischi dei The Haunted. L’album, a differenza dello sperimentale Unseen, è estremamente diretto, grezzo, potente e ignorante, e scorre con gran facilità. Exit Wounds vede il ritorno dietro al microfono di Marco Aro, che, rispetto a Peter Dolving, preferisce l’uso di uno screaming decisamente più spinto e monotono. La rinnovata aggressività dell’album porta alla perdita quasi totale delle peculiarità sperimentali del precedente, e questo può essere visto sia in un’ottica negativa, legata alla standardizzazione delle canzoni, sia positiva, legata al maggiore impatto delle stesse. I riff si mantengono di buon livello per tutta la durata dell’album, anche se è un vero peccato che non siano state sfruttate appieno le terrificanti doti tecniche del chitarrista Ola Englund, che regala come al solito una performance appassionante ma piuttosto scevra di assoli degni di nota. Il peccato più grande del disco è la mancanza di coerenza qualitativa tra le varie tracce: passiamo da episodi decisamente riusciti come il singolo “Cutting teeth”, dal sapore decisamente slayeriano, a pezzi decisamente troppo tirati e spinti come “Psychonaut”.
In sintesi, Exit Wounds è un ritorno al passato. È grosso, cattivo e poco incline alla melodia. Il problema è che in questo modo si sono perse tutte le velleità sperimentatrici presenti nel precedente album, e questo può essere sia un bene che un male, in base ai punti di vista. Insomma, se cercate un disco grezzo, potente e piuttosto fedele ai canoni dei vecchi The Hanunted, con Exit Wounds andate a colpo sicuro. Non innova, non cambia le carte in tavola ma scorre piacevolmente.
7.0