1. Steeple
2. We Knew Him Well
3. Hogshead/Dogshead
4. Conjure
5. Sufferer’s Years
6. Bacchanalia
Non deve essere facile presentarsi all’ultimo appuntamento con il mercato discografico se sulle tue spalle poggia una buona fetta di metal dagli anni 90 ad oggi: c’è molto da perdere, un certo nome da tenere alto, e diverse aspettative da soddisfare. Non sappiamo se Phil Anselmo si sia posto interrogativi di questo genere a proposito della pubblicazione del nuovo EP dei suoi Down, ma di sicuro alcuni di essi sorgono spontanei al momento dell’ascolto.
L’ultima fatica della compagine americana, come già scritto, è un EP, e costituisce il seguito del precedente Down IV – Part I, uscito nel 2012. Nonostante le somiglianze (artwork, durata) già l’opener “Steeple” introduce un lieve cambiamento di corso rispetto al suddetto EP: il sound generale è più grumoso, nettamente doom-oriented, e la produzione risulta deficitaria e confusionale. E’ lecito ipotizzare che sia una scelta dovuta proprio alla dilatazione dei suoni e alla deriva doom/sludge: ci troviamo davanti ad un impasto di basso e batteria su cui si elevano le trame chitarristiche e le parti vocali. Ma se il primo caso è da considerare in modo positivo, data la qualità dei riff che il sempreverde Pepper Keenan e il nuovo Bobby Landgraf (subentrato a Kirk Windstein) tessono per tutta la mezz’ora piena del disco, altrettanto non si può dire del secondo: le vocals di Phil Anselmo sono piatte, scorrono con grande semplicità, dimentiche della potenza e della grinta che il frontman era capace di sprigionare in gioventù. Un marasma di scream per niente incisivo e clean sgraziato in cui si percepiscono brevi barlumi dei tempi che furono. E se “We Know Him Well”, retta da un riff robusto, si lascia ascoltare con piacere, la successiva “Hogshead/Dogshead” appare decisamente trascurabile e “Conjure” addirittura noiosa, complice un songwriting ripetitivo ed un Anselmo che brilla ancor meno che nel resto dell’EP. “Sufferer’s Years” riprende piacevolmente il sound southern dei lavori precedenti prima di sfociare in uno sludge non originale ma certamente efficace, ed apre all’ascolto della conclusiva “Bacchanalia”, probabilmente il miglior pezzo del lotto, dotato di un riffing pigro, cupo ma allo stesso tempo torrido.
A questo puntono sovvengono gli interrogativi di cui parlavamo in precedenza. Perché rischiare grosso con un’uscita mediocre, sfociando in lidi sonori ampiamente inflazionati? Sia chiaro, in mano a band di caratura inferiore, questo disco sarebbe oro. Ma da musicisti navigati come i Down, e da un cantante-simbolo come Phil Anselmo, era lecito aspettarsi ben altro. I tempi di NOLA sono finiti, come è finita pure la sua voce, e sarebbe ora di cercare un rimedio. In conclusione, questo Down IV – Part II merita senza dubbio un paio di ascolti, ma se si ricercano determinate sensazioni, se si vuole godere di una determinata qualità, è consigliabile guardare indietro ai due pilastri della discografia della band, il già citato NOLA e 2: A Bustle In Your Hedgerow.
6.0