(Nuclear Blast, 2014)
1. Now We Die – 7:10
2. Killers & Kings – 4:32
3. Ghosts Will Haunt My Bones – 6:06
4. Night of Long Knives – 6:48
5. Sail into the Black – 8:24
6. Eyes of the Dead – 6:25
7. Beneath the Silt – 4:43
8. In Comes the Flood – 7:22
9. Damage Inside – 3:24
10. Game Over – 6:36
11. Imaginal Cells (Instrumental) – 3:36
12. Take Me Through the Fire – 5:48
È sempre difficile, per un artista, ripetere un capolavoro. Qualunque opera futura verrà inevitabilmente accostata alla sua scomoda sorella, e i suoi pregi propri verranno eclissati dall’illustre predecessore. Se poi parliamo di una band come i Machine Head, e di un capolavoro della caratura di The Blackening, allora il discorso si fa ancora più complesso. Ma andiamo con ordine.
Se avete vissuto in un bunker situato sotto la superfice di Marte per gli ultimi venti anni, c’è la possibilità che non vi siano noti i qui trattati Machine Head. Trattasi di un gruppo che si può annoverare tra i principali precursori e innovatori di quello che oggi viene spesso definito groove metal. Dopo una breve (e noiosa) parentesi nu metal, i nostri danno alle stampe nel 2007 il monolitico The Blackening, vera e propria pietra miliare del metal moderno. L’album fu seguito da Unto the Locust, che seppur non ne raggiungesse i picchi qualitativi, si rivelò un ottimo album. Adesso ci prepariamo ad assimilare questo Bloodstone And Diamonds, cercando di rimuovere dalla memoria qualsiasi preconcetto e/o pregiudizio.
Voglio subito chiarire una cosa: Bloodstone And Diamonds non è The Blackening. Ma non è nemmeno Unto The Locust. Fin dal primo ascolto del disco, infatti, possiamo notare come i Machine Head abbiano cercato di rendere il loro nuovo disco un ascolto complesso e variegato. Viene così perso quel sottilissimo equilibrio che caratterizzava i precedenti lavori, sempre in bilico tra immediatezza e complessità. Bisogna però dire che il nuovo metodo compositivo dei Machine Head funziona: ad ogni ascolto si colgono nuove sfumature, e la nuova super produzione aiuta certamente in questo campo. Ogni traccia del disco risulta alquanto spiazzante se presa a se stante, ma dopo ripetuti ascolti (e dopo aver compreso il contesto) ci si ritrova catapultati nella nuova dimensione della musica dei Machine Head. Non è un ascolto immediato, e sicuramente necessita di tempo per essere apprezzato, ma vi assicuro che ne vale la pena.
A livello stilistico, siamo decisamente più vicini a The Blackening che a Unto The Locust: i pezzi sono lunghi (solo due scendono sotto i cinque minuti), complessi e particolarmente ricchi di stacchi atmosferici. Parlando dei brani, l’episodio che mi ha colpito di più è stato sicuramente “Ghosts Will Haunt My Bones”, un pezzo che può essere utilizzato per descrivere il disco nella sua interezza, per quanto ne è rappresentativo: riff al fulmicotone, doppia cassa al limite dell’ umano e un ispiratissimo Rob Flynn che passa con estrema fluidità dalle harsh vocals al pulito. La dipartita di Adam Duce dal gruppo non ne ha intaccato le fondamenta: il nuovo bassista, Jared MacEachern, si dimostra un musicista di livello, oltre che un’ottima controvoce per Robb.
In conclusione, vorrei dare un avviso a tutti i potenziali ascoltatori: non ascoltatelo su Youtube. Se preso a pezzi, il disco risulta spiazzante, noioso e ripetitivo. Al fine di evitare di farsi un’ idea sbagliata del disco, ne consiglio l’ascolto nella sua interezza. Perché questo è l’unico modo di comprendere fino in fondo l’ottimo lavoro di Robb Flynn e soci.
8.0