1. After the Funeral
2. (Untitled I)
3. (Untitled II)
4. (Untitled III)
5. (Untitled IV)
6. (Untitled V)
7. (Untitled VI)
8. (Untitled VII)
9. Nothing in the Guise of Something
Da oltre un decennio i Rosetta hanno mostrato una genuinità di intenzioni e un approccio alla musica che ha del commovente. Chi ha visto il documentario dedicato a loro dello scorso anno sa di cosa parlo: ragazzi normali (tre di loro hanno lavori occasionali e vanno in tour solo d’estate perche Armine, insegnando durante l’anno accademico, non può muoversi dagli States) che hanno trovato una alchimia che li ha uniti e che, con il passare degli anni e delle avversità che prima o poi colgono tutti nella vita, hanno avuto la voglia di continuare a fare musica, di esternare e rendere costruttivo quello che gli succedeva. E dopo il buio e il senso d’oppressione che sprigionava The Anaesthete pare che sia successo qualcosa in seno al gruppo, possiamo definirla una rinascita. Il quinto lavoro in studio è infatti “luminoso”, con forti sprazzi malinconici ma lontano da tutto quello che i Rosetta avevano precedentemente proposto.
Diciamolo subito: Quintessential Ephemera è l’album più diretto mai scritto dai ragazzi di Philadelphia, ed anche il più melodico. Dimenticate le progressioni ed i crescendo che eravate abituati ad ascoltare: le linee vocali sono ora l’elemento portante e, superato lo spaesamento iniziale, ci si rende conto di come tutto funzioni a meraviglia. L’incipit iniziale di “After the Funeral” lascia presto il passo a brani scritti di pancia che, indicati con un semplice “Untitled” numerato, lasciano in secondo piano ogni orpello contenutistico e vivono di una forte urgenza espressiva. Il potente growl di Mike è sempre presente ma ora la forte componente interpretativa lo rende ancora più peculiare. Un brano come “Untitled II” porta l’estetica del gruppo ad un livello di scrittura differente, per certi versi vicino al modo di comporre post hardcore degli anni 90 (lo stacco di chitarra ritmica centrale è un fottuto capolavoro). Le parti fatte di stratificazioni chitarrisitiche non mancano ma sono al servizio del brano: “Untitled III” parte con rabbia, si distende e collassa nell’epico finale carico di potenza evocativa. Come alcuni sapranno i nostri hanno preso in formazione Eric Jernigan. Il supporto del frontman dei City of Ships è fondamentale, in quanto Jernigan si è preso in carico le parti di cantato “pulito” portando un alone di intimismo inedito al combo. Il basso sinuoso e la voce sussurrata in “Untitled VI”, che rimandano al pathos dei Deftones di White Pony, ne sono il fulgido esempio. Rispetto al passato è indubbio che la sezione ritmica sia stata in parte contenuta (raramente fuoriesce la classe indiscussa dietro le pelli del buon BJ) ma questo non penalizza minimamente la fruizione del disco. Ottimi invece gli intrecci di chitarra, che pur mantenendo il tipico suono “alla Rosetta” sono pieni e dinamici.
Registrato e mixato al Machines With Magnets (Lightning Bolt, Battles, The Body, Braveyoung) a Providence e masterizzato da Colin Marston (Gorguts, Krallice, Dysrhythmia) al The Thousand Caves di New York, Quintessential Ephemeral è un fondamentale tassello del percorso artistico del combo, che non ha avuto paura di reinventarsi e di andare oltre ai clichés di genere osando e sperimentando nuove strade in modo egregio. Distribuito in Europa dalla Golden Antenna, sarà scaricabile nella formula “pay what you wish” da fine giugno. Difficile non amarli.
8.5