1. Two-Pound Torch
2. Shag Harbour’s Visitors
3. Red-Skinned Scapegoat
4. Damned Draft Dodgers
5. Amputated Enigma
6. The Golden Square Mile
7. Ominous
8. Cleansing The Hosts
I Cryptopsy non hanno certo bisogno di presentazioni: attivi da ormai diciotto anni nel panorama technical death metal mondiale, nonostante i frequenti cambi di formazione hanno dato alle stampe album molto importanti per il genere, influenzando tantissimo l’intero movimento death metal degli ultimi due decenni. Nel settembre del 2012, a distanza di 4 anni dal non bellissimo The Unspoken King, la band canadese autoproduce il suo settimo full length dall’omonimo titolo.
Come un po’ tutti gli appassionati del genere sapranno, i Cryptopsy negli ultimi anni avevano tentato un cambiamento di genere con The Unspoken King, cercando di proporre un death metal più moderno, con qualche influenza deathcore e provando ad inserire un’improbabile voce melodica/pulita. Questo cambiamento comportò numerose critiche da parte della maggior parte dei loro fan e l’album fu tutto meno che un successo. Oggi la band, con questo nuovo full length, tenta di rimediare al passo falso commesso qualche tempo prima, tornando a proporre nuovamente il technical death metal con cui ci aveva abituato ai tempi di And Then You ll Beg o di Whisper Supremacy. L’album è totalmente eseguito a velocità fuori dalla normalità e tutti i membri della band mettono in luce le proprie ottime capacità tecniche, non solo attraverso i classici pattern death metal, ma anche attraverso pattern jazzistici molto ben inseriti all’interno di alcuni brani; un esempio è la parte finale di “Red-Skinned Scapegoat”.
Sicuramente in questo full length si sente la voglia di riscatto da parte della band, l’aggressività e la violenza dilagano per tutta la durata dei brani, i quali sono in grado di catturare l’ascoltatore tramite pattern ottimamente strutturati e studiati, che variano da riff veloci e taglienti a riff più serrati e cadenzati fino anche a spunti più melodici che danno un tocco più “tragico” al tutto. Ovviamente i Cryptopsy non sarebbero i Cryptopsy senza la batteria perfettamente architettata e montata da Flo Mounier, che in questa sua nuova opera dà il massimo di sé, esibendosi in tutta la sua infinita tecnica e mostrandosi ancora una volta come il membro fondamentale della sua band. Un elogio in particolare voglio anche dedicarlo al cantante Matt McGachy, il quale entrò a far parte della line up ai tempi di The Unspoken King, senza però riuscire ad esprimere le sue abilità al meglio; questa volta invece mostra di essere dotato di un’impronta vocale molto completa e potente, che riesce a sposarsi perfettamente con i pattern strumentali. Per chi ancora non lo sapesse il bassista storico Eric Langlois non fa più parte della band canadese e senza dubbio la sua mancanza si sente all’interno sia della composizione che dell’esecuzione: il suo ruolo è stato preso da Olivier Pinard (Neuraxis), che sicuramente non è ai livelli del suo predecessore, ma si mostra abile in alcuni stacchi di basso e non si nasconde dietro agli altri strumenti.
Per concludere possiamo dire che i Cryptopsy sono riusciti a proporre un album di buona qualità, che li ha rimessi sulla giusta via, ma che comunque sia rimane ben lontano dai loro precedenti capolavori come Whisper Supremacy e ancora più lontano da None So Vile e Blasphemy Made Flesh; tuttavia Cryptopsy è un più che discreto album technical death metal che piacerà e farà ricredere molta gente che pensava che i Cryptopsy ormai non avessero più niente da dire al mondo della musica estrema.
7.0