(Seasons Of Mist, 2012)
1. Jacob’s Ladder;
2. Jonah;
3. Sternenfall;
4. Death Worship;
5. The Black Projector;
6. The Second Coming of the Pig;
7. Deus Irae;
8. Jericho
La propria dichiarazione di intenti è chiarissima già dalla scelta del monicker: gli Hell Militia si muovono da radici profondamente black metal per rimanervi saldamente ancorati nell’arco di tutta la propria produzione, anche se con qualche piccolo accorgimento di tanto in tanto. Se nell’ottimo esordio Canonisation Of The Foul Spirit l’andazzo era di quelli più intransigenti e violenti (con un’attitudine punk/crust della peggior specie), nel successivo Last Station On The Road To Death qualche spiraglio melodico e più cura nei suoni e nei dettagli sembravano attenuare leggermente la spinta più nichilista dei francesi.
Jacob’s Ladder, terzo album ufficiale, non cambia le carte in tavola. La carismatica figura di Meyhna’ch (fondatore, fra gli altri, dei Mutiilation e di altri progettini all’interno delle Legions Noire) è sempre in primo piano, sicuramente senza la sua presenza l’interesse verso gli Hell Militia e la loro stessa proposta diminuirebbero tremendamente, stavolta coadiuvato da membri di altre band non meno sozze quali Arkhon Infaustus o Temple Of Baal. Come già detto la proposta rimane sostanzialmente la stessa: un black metal di stampo darkthroniano rivisto però tramite il filtro dei Mutiilation, che magari si concede qualche divagazione un po’ più verso lidi Aosoth (la titletrack, “Jacob’s Ladder”) e qualche dissonanza vicina allo stile dei DSO del periodo SMRC. Ciò che rimane si districa fra tempi cadenzati, tentativi di nuove soluzioni (gli intermezzi di “Second Coming Of The Pig” o “The Black Projector”) e alcuni esercizi di puro manierismo come “Jonah” o Deus Irae” che risultano comunque gradevoli anche se non aggiungono nulla di imprescindibile a quanto già fatto.
Jacob’s Ladder musicalmente parla un linguaggio noioso, sentito già molte volte anche dallo stesso autore e che purtroppo inizia a stancare. Non che i trascorsi della band fossero eccelsi (anche se il primo album per il sottoscritto è tutt’ora deviato e sozzo come pochi negli ultimi anni) ma il calo ora è davvero palpabile e appare inevitabile per un gruppo ormai destinato ai soli irriducibili di queste sonorità e che si avvia a finire nell’enorme calderone della sufficienza risicata. L’unica consolazione è sentire ancora un Meyhna’ch in formissima dietro al microfono.
6.0