(MeteorCity Records, 2013)
1. Spires Burn
2. Release
Gli EP sono da sempre molto meno considerati di un qualsiasi lavoro di lunghezza standard. Sono più brevi, meno reperibili e molto poco fruibili. Capita ancora meno che vengano recensiti, ma succede. Questo perché alcuni dischi non possono proprio essere ignorati, esattamente com’è successo per Spires Burn/Release del trio statunitense Elder, ormai veterani della MeteorCity (della quale ricorderete più facilmente gli ottimi Black Pyramid). E dopo averci pensato parecchio, non averci dormito la notte, non averci mangiato di giorno e dopo aver trascurato ogni funzione corporea… mi permetto di sostenere che in ambito stoner/doom questo disco compete per il migliore dell’anno. No, non sto esagerando. Capisco anche che si tratti solo di un’opinione e mi rendo conto che un sacco di cose meravigliose ci sono piovute addosso in questi mesi. Eppure, nonostante il formato ridotto, l’EP in questione è stato in grado di farmi venire i brividi (in ogni dove), molto più di tanti altri bei lavori, favoriti dalla durata canonica che tutti possono concepire.
Il disco si compone di due brani, “Release” e “Spires Burn” (sorpresi?), per un totale di ventidue minuti e mezzo. Bene, la prima traccia è “Spires Burn”. Viste le premesse vorreste che vi dica che è la canzone perfetta, vero? Purtroppo non lo è. Attenzione: è all’altezza della situazione e spaventosamente bella; ma ci vogliono un po’ di ascolti perché il fulmine vi atterri, il riffing non è derivativo bensì poco incisivo. In ogni caso già dopo un paio di minuti è facile accorgersi della validità della composizione, qualunque sia la vostra esperienza. “Spires Burn” comincia nel groove e si evolve in esso. I riff si susseguono in quello che sembra uno ‘schizzo del canone’, però la realtà dei fatti è che in questo caso non si giudica la qualità del riff in sé, e al sesto minuto dubito che vogliate cambiare, spegnere, spaccare o sotterrare il disco (nel caso avvisatemi che me lo piglio io). C’è un momento in cui capirete che ad ogni nuovo ascolto corrisponde un’esperienza diversa, sembra quasi che cresca mentre state facendo altro, come la muffa sulle pareti o il muschio nel vostro cervello. Ho corso un po’ troppo? Non c’è bisogno di sentirsi tra i ‘Masters of the earth’ per passare già lubrificati alla canzone successiva.
Vi assicuro che gli Elder sono in grado di catturare la luce e di farla in mille pezzi, di prendere la vostra testa e di scuoterla come l’uovo di cioccolato la domenica dalla nonna. Ma questa è una questione di gusti… non lo è il fatto che il songwriting sia di altissimo livello, probabilmente uno tra i migliori modi di sviluppare canzoni che io abbia mai sentito. Soprattutto se si considera che supera i dodici minuti. Lo so che nei generi che ci piacciono non è una lunghezza che spaventa, ma cazzo, sono dodici fottutissimi minuti. E pieni di roba splendida. Si, ci sono delle sovraincisioni: Nick Di Salvo, unico chitarrista e cantante, non avrebbe mai potuto rendere allo stesso modo facendo tutto monotraccia. Non sono però quel tipo di stesure che rendono l’esperienza live un po’ scarna, e questo è piuttosto importante.
L’intero disco, e soprattutto “Release”, ha una carica onirica esplosiva. Se vi capitasse di ascoltarlo nel momento giusto potreste giurare di aver sentito l’aria cadere e di essere riusciti ad afferrare la musica; una cosa che non mi capitava da tempo. Ed è proprio a questo punto che il sogno prende il sopravvento. L’introduzione alla traccia è schietta e sincera: un minuto di intro e di auto-preview ben congegnato, che dà spazio ai riff seguenti. I quali, tuttavia, potrebbero non colpire in un primo momento. “Release” continua e continua, senza che ve ne accorgiate. Vi svegliate nel bel mezzo del deserto. Volete andare a casa. Vi siete persi (giustamente), e la voce di Nick continua a ricordarvelo.
Indescrivibile la qualità dei piccoli bridge tra i vari riff, nessuno dei quali è meccanicamente collegato ad un altro. Sembra di sentire i Colour Haze che chiedono ai Cathedral di fare una jam: “se fate i bravi possiamo anche concluderla in un paio d’ore”. Non è possibile, davvero, scrivere molti gruppi di riferimento. Gli Elder sono una band con degli attributi enormi, spaventosi, pelosi e spruzzano luce. Dal disco omonimo del 2007 di strada ne hanno fatta tanta e ormai hanno un sound tutto loro. Grazie tante, so bene che il fuzz dominante lo avete già sentito, ma una canzone dei suddetti si può riconoscere dalle prime battute.
Abbiamo bisogno di gruppi come gli Elder e, anche se il monicker può non attirare molto, consiglio davvero a chiunque sia interessato a stoner/doom in primis, e a tutti gli amanti della musica di culto, gustosa, che conta, di dare un’opportunità ad un gruppo che ancora non si è fatto sentire come dovrebbe. Ma che già in molti considerano un fenomeno che ha superato i limiti del trascurabile. Credo sia l’ora di svegliarsi, è già l’alba, la nebbia è fitta e l’uovo di cioccolato attende di essere aperto.
8.0