(Agonia Records, 2013)
1. Sole Creation
2. Tamed Brute
3. The Portals
4. Skymning
Arriva sempre un momento durante una giornata in cui qualcosa va storto. Pensate alla sensazione che potreste avere se una macchina vi schizzasse addosso dell’acqua lurida di una pozza stagnante. Se vi cadesse il pranzo sul pavimento della stazione o se vi trovaste di colpo seminudi in coda alle poste. Ora immaginate che niente di tutto questo sia ancora successo ma che qualcosa stia tramando alle vostre spalle. Sole Creation dei Kongh è la colonna sonora perfetta per una disgrazia imminente.
Sono passati ormai tre anni dall’uscita di Shadow of the Shapeless e non si può che gioire del ritorno degli svedesi, che con Sole Creation raggiungono un nuovo livello di esperienza. Il gruppo dimostra una certa maturità rispetto al lavoro precedente, anche se questo si traduce in un rapporto meno conflittuale con voci pulite e linee melodiche, ora più presenti e centrali nelle composizioni.
L’intero lavoro è suddiviso in quattro canzoni, quattro atti di un unico grande spettacolo decadente: tre quarti d’ora in un mondo popolato da creature mostruose, dove la luce è un ricordo e in cui piove fango senza sosta (quello in cui viviamo, forse?). Le tracce sono piuttosto varie, mescolate in modo saggio e omogeneo, in tutte convivono serenamente numerosi generi. Un sistema formato da sludge e stoner in primo piano, impregnati di doom e atmosfere inquietanti. Da citare la presenza di una mistura ben mimetizzata di prog e drone, fino ad arrivare in coda dove black e death metal incorniciano l’intero lavoro. Soprattutto i primi tre brani danno prova di sapersi muovere in questo mare oscuro, in alcuni momenti sembra di assistere ad una rissa da pub tra i Mastodon e gli Acid Bath. In altri invece, come nella conclusiva “Skymning”, s’intravedono Yob e Warning mentre campeggiano in una città completamente distrutta dai Weedeater.
Ogni riff ha la sua posizione, non dà l’idea di essere casuale bensì di attingere da un repertorio maturo di fantasia e capacità, all’interno di suoni spacca-ossa in cui si fa sentire lo zampino di Magnus Lindberg dei Cult of Luna. L’unione di psichedelia e brutalità trova espressione grazie al songwriting di alto livello.
Un disco al quale non si può dire quasi nulla, se non che forse, arrivati a questo punto, qualche passaggio gustoso in più avrebbe potuto colmare gli ultimi piccolissimi vuoti, e in questo caso si sarebbe potuto gridare al miracolo. Di fatto rimane un grandissimo album, che illumina l’inizio del 2013 e che lascerà una scia visibile sicuramente per tutto l’anno e che, probabilmente, saremo in grado di vedere anche molto più in la.
8.0