(Deathwish Inc., 2013)
1. Dream House
2. Irresistible
3. Sunbather
4. Please Remember
5. Vertigo
6. Windows
7. The Pecan Tree
Sunbather arriva a distanza di due anni da Roads To Judah, album che aveva proiettato i Deafheaven alla ribalta della scena post-black americana, un prodotto altamente personale ed umorale che, nonostante la relativa inesperienza e giovinezza del gruppo, aveva rappresentato un saldo punto di riferimento tanto per il pubblico legato a queste sonorità quanto per gli “addetti ai lavori” del settore.
Senza lasciarsi scoraggiare dalle pressanti aspettative che gravitavano quindi intorno al nuovo lavoro, il duo americano riesce a portare avanti il proprio discorso musicale, basato anche stavolta intorno a riff dilatati e lunghissimi, tempi di batteria ripetitivi ed ossessivi e la lacerante voce di George Clarke a squarciare le complesse trame sonore costruite nelle canzoni. Potrebbe sembrare insomma che la band abbia preferito giocare sul sicuro, andando a comporre un lavoro sulla falsariga del precedente: questo è in parte sicuramente vero, visto che gli elementi utilizzati sono fondamentalmente sempre gli stessi, ma sin dai primi ascolti affiora con decisione qualcosa di diverso rispetto al passato, un mood generale e delle atmosfere che differenziano invece Sunbather dal disco precedente. Del black metal europeo ferale e maligno non rimane quasi traccia in queste canzoni, il rimando più chiaro rimangono oramai solamente le suddette vocals di Clarke, invero un po’ fuori luogo rispetto ai passaggi algidi e delicati che affiorano sovente nella composizione, eppure necessarie per trasmettere il messaggio disperato delle lyrics. Rispetto al grigiore e alla disillusione del platter precedente, sembra che oggi i Deafheaven abbiano spostato l’ago della bilancia verso un guitar-work meno impetuoso e più ragionato, quasi che il sole, citato palesemente fin dal titolo, fosse riuscito ad aprire uno squarcio nelle nubi perenni che appesantivano l’anima artistica dei due americani, colorando la loro musica di tonalità vivide ed accese, come dimostra la cover smaccatamente glamour di Sunbather. Le quattro, lunghissime suites che rappresentano il grosso della release, senza considerare i tre logorroici intermezzi strumentali che uniscono le canzoni vere e proprie, brillano insomma di una lucentezza diversa, verrebbe da dire di una speranza e di un calore inaudito per loro, che, se da una parte allargheranno ulteriormente le frange di hipster-ascoltatori del gruppo, dall’altra deluderanno chi di Roads To Judah apprezzava particolarmente la negatività totale e l’assenza di vie di fuga alla disperazione messa in musica sull’album.
“Vertigo” vi farà perdere nelle sue trame circolari ma inattese, “The Pecan Tree”, con il suo finale mozzafiato, saprà regalare più di qualche emozione all’ascoltatore, in generale tutto il lavoro presenta una complessità ed una stratificazione se possibile superiore persino al debut album: starà a voi decidere se preferire la freddezza e l’oscurità del post-black del passato o le nuove, “illuminate” trame post-rock e shoegaze di Sunbather.
7.0