(This Is Core Music, 2011)
1. Prelude 1.0
2. By the Memories of a Daydreamer
3. Your Loss, Our Cross
4. Fixated on a Plastic Girl
5. Apeiron
Ripassino di filosofia: quello dell’ápeiron è, al pari del cugino archè, un concetto maturato nell’ambito della filosofia greca. Sostanzialmente assimilabile all’idea di “origine”, “principio creatore”, “inizio” e chi più ne ha più ne metta. A questa sequela di princìpi iniziatici si aggiunge anche un senso di continuità, ossia di “legge regolatrice” del mondo, visione armonica (a suo modo differente da quella che sarà poi ripresa dal confucianesimo orientale) piuttosto indefinita che, tuttavia, manda avanti le cose. Un titolo un po’ pretenzioso per il primo EP dei bresciani Till the Last Breath, nati poco più di un anno fa e rapidamente messi “sotto contratto” dalla genovese This is Core Music, label, booking e quant’altro che vede nel proprio roster promettenti realtà del punk-rock/hardcore/screamo italiano.
Va subito detto che l’ispirazione è al 100% rivolta agli scenari oltralpe e, più marcatamente, oltreoceano. Anche senza volerlo, i canoni estetici entro i quali la band si orienta lasciano trasparire il genere suonato, rafforzando per una volta quel pregiudizio un po’ denigratorio mirato alle banali associazioni fra look e musica. Un metal/death-core mo(ooo)lto melodico in cui dal “-core” si passa velocemente ai “cori”, lasciando così intravedere quell’anima pulita e a suo modo “sofferente” di cui si parla spesso in relazione alle tematiche affrontate dalle band screamo. La produzione è come al solito pulita e dettagliata, con le linee di basso tuttavia troppo spesso nascoste dai chitarroni a cui siamo stati, per così dire, abituati in questi anni. Gli elementi del genere, che in Italia vede rappresentanti quali gli Hopes Die Last, ci sono tutti: breakdowns, alternanza di screaming e cantato melodico, base di chitarra distorta affiancata da una più pulita chitarra solista e, di tanto in tanto, tastiere e linee di pianoforte a fare capolino, così da alleviare lo scenario e renderlo ulteriormente easy-listening. Non c’è nulla di male in ciò che fanno i Till the Last Breath, che se la cavano piuttosto bene dietro i loro strumenti e rispondono in maniera precisa e decisa alle esigenze di un pubblico composto sostanzialmente da teen-ager.
Gli auguriamo la fortuna e la bravura che in passato hanno decretato il successo di band quali Underoath e The Used, consci del fatto che il panorama italiano è ancora piuttosto tradizionalista anche in fatto di metal e che non sarà facile mantenere un proprio stile e una propria personalità, soprattutto se subissati dalle critiche di un pubblico di metallari spesso più “fighetto” dei fighetti stessi.
Voto: 6,5