(Byelobog Productions, 2014)
1. God from the Machine;
2. The Portal;
3. Heill Odinn;
4. Lady in the Lake;
5. The Coming of Ettins;
6. The Reckoning Of Man;
7. Heil Freyja;
8. The Ways of Yore;
9. Ek Fellr (I Am Falling);
10. Hall of the Fallen;
11. Autumn Leaves;
12. Emptiness;
13. To Hel and Back Again
A cadenza ormai annuale sappiamo di doverci districare all’interno di un nuovo album di Burzum e il 2014 non fa eccezione. Dopo i disastri che rispondono al nome di Sôl austan, Mâni vestan e Umskiptar, dal Conte è lecito aspettarsi qualcosa di terribilmente monotono, prolisso e auto-citazionista, aggettivi che in effetti calzano anche per questo nuovo The Ways Of Yore.
La formula la conosciamo tutti: esteticamente ci troviamo ad ammirare copertine che sono dipinti o opere di artisti più o meno famosi (stavolta è il turno di Gustave Doré), mentre musicalmente l’autore stesso sembra essere sempre più convinto di continuare sulla strada dell’ambient più minimale che gli ha portato gioie e dolori sia in tempi passati che recenti. Qualche elemento folk rimane (“Heill Odinn”, “Heil Freyja”, “The Portal” o “Ek Fellr (I Am Falling)”) ma in generale The Ways Of Yore gioca sulla ridondanza di loop ed effetti dal sapore vagamente spaziale che ricordano in più occasioni quanto già fatto in Hliðskjálf dando vita, però, a qualche episodio più che godibile e sicuramente fra i migliori degli ultimi due/tre anni (stavolta mi riferisco a “Lady in the Lake”, “The Ways of Yore” e “Hall of the Fallen”). Ironicamente, anche se ci sarebbe poco da ridere, la migliore di tutto il lotto è “Emptiness”. Peccato che sia solamente una ri-registrazione della storica “Tohmet” che ad oggi spazza via tutto quanto di ambient pubblicato da Burzum dopo Hvis Lyset Tar Oss e Filosofem.
Nonostante tutti e superando i pregiudizi iniziali, The Ways Of Yore non è un brutto album o perlomeno non è così tragico come pensavo: qualche buon episodio c’è, la ripetitività classica di Burzum qui non diventa necessariamente un’arma a doppio taglio e nel mood giusto il disco coinvolge in maniera inaspettata. Rimane il fatto che se il nostro caro amico barbuto avesse condensato gli spunti migliori degli ultimi tre album in un’unica uscita, sarebbe stato molto meglio per tutti.
6.0