I Genuflect sono un gruppo di Boston formatosi dalle ceneri dei Reveille, alfieri di un originale nu metal nei tempi d’oro in cui questa parola valeva ancora qualcosa. Con questo “The Shadow Side” arrivano al secondo album in quasi quattro anni d’attività, il che è ravvisabile come una novità rispetto alla generale tendenza di sfornare album (spesso scadenti) a distanza massima di un anno. Le radici hardcore ed il cantato rap fanno dei Genuflect gli ideali portabandiera di una ulteriore evoluzione, appunto, del nu metal che spopolò sul finire degli anni ’90. Sarebbe troppo facile, e volutamente semplicistico, relegare il tutto nel filone del generico metal-core. Così come fuorvianti risulterebbero definizioni quali “crossover” o “rap-metal”. Diciamo, allora, che i Genuflect riescono nell’impresa di creare un album coinvolgente, sfruttando spesso il groove dei riff di chitarra e amalgamando il tutto con una voce aspra, valido collante per i brani e allo stesso tempo motivo di esplosioni sonore.
Il disco si snoda lungo undici tracce complessive, e la grande importanza dei testi si fa sentire da subito. La band, infatti, sin dal nome prende una posizione fortemente critica nei confronti della religione e di come, tramite essa, si vengano a creare situazioni di guerra fra i popoli. Alla stessa maniera viene trattata la scena politica, non andando tanto per il sottile ed esponendo chiaramente il proprio punto di vista (“…I’m cynical, I’m fucking cynical!”, dalla prima traccia “Head Harse”). Le assonanze con band del calibro dei Rage Against the Machine si fanno ancora più marcate (musicalmente e tematicamente) al sopraggiungere di pezzi come “Bullet” o della conclusiva “Nihilist”, che non fanno che confermare quanto di buono era già stato prodotto nel primo album (“The End of the World”, 2006).Validissimo per chi desideri fare un salto nell’immediato passato con un album che, tuttavia, è uscito proprio in questi giorni. Potenziale miniera di futuri classici, ci si augura che promuovendo questo lavoro tramite il circuito delle webzines possa colpire e risultare diffuso più di quanto non lo sia ora. É infatti quasi sorprendente che una band del genere non abbia ancora un contratto e coltivi la propria passione musicale (che non implica solo i tour, ma anche le lunghe sessioni di distribuzione ecc) in una maniera strettamente personale e privata, anche considerando i nomi dietro i singoli strumenti. In definitiva: una versione un po’ più urlata e decisamente meno perbenista dei P.O.D., in grado di riprendere la lezione di grandi mostri del genere e di rielaborarla in chiave personale. Caldamente consigliati!
Voto: 8