Ammettiamolo: iI death-core ha ormai fatto il suo tempo. In una parabola velocissima che ha coinvolto, in rapidissima successione, nu-metal, metal-core, brutal di nuova scuola, anche il death-core si avvia verso un suo personale tramonto. E questa fine, ancora una volta, da che cosa è data? Probabilmente dal fatto che il pubblico è finalmente stanco ed annoiato di sentire la stessa storia all’infinito. Gli stessi passaggi di chitarra. Lo stesso growl/screaming mono tono durante l’intera lunghezza dell’ennesimo brano. Identico a mille altri ma, soprattutto e peggio ancora, identico al precedente, appena finito di ascoltare. E questo, che cosa c’entra con i Knights of the Abyss? C’entra, c’entra!
Formatisi nel 2005 a Glendale, Arizona, U.S.A., sono uno dei gruppi pionieri della miscela fra death metal anni ’90 e hardcore, molto più spesso limitata alla teoria, piuttosto che alla pratica. Giungono con questo “Shades” al loro secondo album, dopo una manciata di cambi di formazione che, a quanto pare, non hanno intaccato la voglia di comporre ai vari membri restanti. Già dal nome (una citazione da “La Nascita della Tragedia”, di Friedrich Nietzsche) si capisce come ci si possa aspettare qualcosa di superiore rispetto alla media dei gruppi che pullulano in questa scena. E, infatti, il songwriting appare molto curato, con intuizioni interessanti e buoni passaggi. Ciò che non funziona, invece, è l’impressionante mancanza di una qualsiasi forma di personalità nei vari brani. Tutti di una durata oscillante fra i 3 e i 4 minuti. Tutti molto ben suonati, registrati con ottimi suoni, e tutto quanto ci si possa aspettare. Eppure, tutti pallidamente identici a sé stessi. Una piaga, quella dell’anonimia, che affligge tanti, troppi, gruppi del genere; e che, se da un lato si può combattere in sede live, su disco non lascia scusanti.
I richiami, perfino troppo delineati, alle varie band dell’underground americano, nonché ai ben più famosi Black Dahlia Murder, si sprecano. E, probabilmente, questo album farà la felicità di coloro che, alle prime esperienze con il death-core, gli si avvicinano timidamente. Per tutti gli altri, invece, c’è già un’intera serie di discografie che hanno ampiamente discusso l’argomento. E, fra l’altro, con un piglio spesso molto più personale.
Voto: 4