![SYNDROME - Floating Veins (2011) [[M.G.]]](http://grindob.cluster100.hosting.ovh.net/wp-content/uploads/2011/10/SYNDROME-Floating-Veins-2011-M.G.-150x150.jpg)
(ConSouling Sounds, 2011)
1. Clot
2. Floating Veins
3. Project 5
4. Wolf
5. Absence
Sotto al non originalissimo nome Syndrome si nasconde l’ennesimo progetto dell’ormai noto musicista belga Mathieu Vandekerckhove, chitarrista e mente dei ben più famosi Amenra.
Naturalmente la proposta del progetto Syndrome prende le distanze dall’immediatezza del sound degli Amenra, costruito intelligentemente sulla fusione di sludge, aperture atmosferiche e le immancabili (al giorno d’oggi) influenze post-hardcore, sebbene presenti in maniera assolutamente marginale.
I Syndrome nascono laddove gli Amenra incontrano un limite: quello imposto della natura del proprio sound, il quale non dovrebbe mai cedere a lunghe ed estenuanti divagazioni ambient così come drone/psych; se gli Amenra mostrano la faccia brutale e lacerante della medaglia, i Syndrome rappresentano l’altra, quella introspettiva, inquietante ed onirica.
Dobbiamo ammettere però che il risultato non è stato raggiunto in pieno: l’album pecca decisamente di idee, cercando forse di far leva sulla grandissima fede che gli appassionati del genere tendono ad avere, a volte ignorando il vero valore dell’opera stessa.
Non possiamo dire, d’altra parte, che Floating Veins non sia un lavoro sufficiente, con il suo incedere marziale ed ipnotico che vorrebbe essere all’altezza della lieve ma immanente dimensione onirica dei Pelican; purtroppo non basta il solito apparato elettronico, tra synth ed effetti vari, per creare grandi paesaggi sonori degni della visionarietà psichedelica che la band pare voler tributare.
Tra gli episodi meglio riusciti troviamo “Absence”, traccia di chiusura: un drumming dalla marzialità disarmante accompagna una rappresentazione sonora degna dell’apocalisse, tra distorsioni belligeranti e synth che sembrano volerci aprire le porte ad un viaggio cosmico.
Di buon effetto è anche la title track, rivolta a sonorità decisamente più ambient, trattate con la fredda meccanicità dell’industrial meno mainstream, arricchita dalla brevissima apparizione di un’inaspettata voce femminile.
I restanti brani restano in equilibrio sul filo teso tra la sufficienza e la mediocrità, senza presentare particolari cadute di stile, ma nemmeno picchi di particolare interesse; gli ingredienti, naturalmente, restano gli stessi: una buona dose di atmosfera più meccanica che decadente, un pizzico di “interstellar overdrive” e tanta voglia di disegnare panorami di siderale desolazione.
Album sufficiente, penalizzato da mancanza di idee che superino la soglia del “compito a casa”, dalla durata breve dei brani (in media sei minuti) e dal senso di noia che talvolta prende il sopravvento; punti a favore sono l’indiscutibile qualità del suono e le due/tre trovate interessanti elencate nelle righe precedenti.
Consigliato agli appassionati di post-rock e/o sperimentazione sonora/effettistica a tutti i costi; tutti gli altri possono darci una fugace occhiata, tenendo a mente che ci troviamo di fronte ad un lavoro decisamente trascurabile.
Voto: 6