Devin Townsend, evidentemente, se lo può permettere. Dopo aver fondato, più di dieci anni fa, la sua personalissima HevyDevy Records ed essersi dedicato alla musica da diversi punti di vista (chitarrista, tastierista, produttore e, per finire, cantante), il buon Devin ha cominciato a sfornare album a tutto spiano. Non ha certo lesinato la sua presenza in ambito di collaborazioni (si ricordi quella con Steve Vai) né si è tirato indietro quando si è trattato di produrre band del calibro di Lamb of God o Darkest Hour. E poi? E poi, tante influenze dal punto di vista del “semplice” ascoltatore gli hanno permesso, col tempo, di maturare e auto-migliorarsi, inserendo elementi via via più complessi nelle sue composizioni e creando personali forme di crossover, che mescolano il death melodico all’elettronica, e che perciò difficilmente sono rassomiglianti ad altro, se non a sé stesso.
Con un titolo che più schietto non si poteva, “Addicted” è il secondo capitolo della personale quadrilogia di questo David Townsend Project, cominciata meno di sei mesi fa con l’esordiente “Ki”. Stakanovista tanto quanto un Mike Patton, per esempio, il nostro Devin definisce questo secondo album come più melodico e ballabile, ma allo stesso tempo più pesante dei precedenti lavori con la Devi Townsend Band. Si parla anche di un misto fra la disco-dance anni ’70 ed i Meshuggah (!!!). Quanto queste dichiarazioni siano d’effetto, più che effettive, lo lasciamo ai posteri. Quello che certo, tuttavia, è che come si poteva ampiamente prevedere, l’album non è certo di facile ascolto, e tutt’altro che scontato. Influenze diversissime, effettivamente, si mescolano e vanno a creare una buona amalgama che fonde in sé elementi elettronici ed un cantato quasi sempre pulito, rock-metal e ritmiche al limite della dance. Certo, in questo la collaborazione fissa di Anneke van Giersbergen, attuale voce degli olandesi The Gathering, aiuta notevolmente a far sì che l’album non abbassi mai i toni.
I brani, come al solito, sono ben studiati e nulla è lasciato al caso. La produzione, ovviamente personale ed “homemade”, è di ottima fattura. I riff di chitarra di Townsend riescono solitamente ad inserirsi e ritagliarsi un proprio contesto, senza mai sbavare né annoiare. Fra i potenziali singoli vi è certamente “Hyperdrive!”, dall’approccio pop e in cui sembra di sentire echi di Lacuna Coil. Vi sono, come detto, brani più spiccatamente dance (“Bend It Like Bender!”) ed altri moderatamente rock (come la bellissima “In-Ah”, in cui sembra quasi di sentire gli U2!). Un rock che, tuttavia e nonostante i proclami tesi ad accontentare un po’ tutte le fazioni, non si spinge mai oltre un certo limite d’assalto sonoro.
Poco meno di 45 minuti di durata per dieci pezzi sono, in definitiva, un buon compromesso. Visto che considerato che, con questi ritmi, l’annunciata quadrilogia vedrà ben presto il suo termine naturale. Bravo Devin!
Voto: 7